“Avete notato come mi guarda?” dice Canetti sollevandosi sui gomiti, tossicchiando e raspando.
La stanza, disordinata e in penombra, è immersa in una spessa coltre di fumo, ma non importa, perché i genitori di Lonero non sono in casa, ci sarà tutto il tempo per fare aria. E poi fuori fa freddo.
“Che robaccia avete comprato? Gratta come il mio cinquantino”.
“Chi è che ti guarda?”
“Sì fa cagare, ma che pretendi, Ahmed ultimamente ha cambiato giro”. Lonero quando dice le cose le dice come se fosse uscito da una bisca clandestina.
“E chi è Ahmed?”.
L’unico che fa domande è il Bambi, stracciato ai piedi del letto con lo sguardo fisso al soffitto.
Lo sbuffo strafottente di risposta è di Lonero, come a dire, chi vuoi che sia, che domanda è?, che poi conclude tutto in un risolino perché in fondo che importa.
“Guarda che non è marocchino quello lì. La mamma è più italiana di te, Lonero. E non si chiama Ahmed”. Canetti su certe cose è preciso e non tollera che si scambi questo per quello.
Fuori le ombre del pomeriggio stanno facendosi sempre più oblique, eccetera eccetera, perché si sta facendo sera.
“Chi è che ti guarda?”
“Quando?”
“Ma sei stupido, Canetti? Hai detto che qualcuno ti guarda.”
“Tutti a lamentarvi che il fumo fa schifo però siete belli in botta”, ridacchia Lonero, che si sta schiacciando un foruncolo sulla spalla con estrema dedizione. Riesce a far sembrare tutto normale, Lonero.
“E comunque ha la pelle scura. La mamma no, ma il papà secondo me è marocchino, o pakistano, chennesò. Ma non è italiano, cioè non del tutto, per quello che importa”. De Giacomi sta in piedi, quasi sempre. Anche a scuola è difficile farlo stare seduto. E se è seduto sembra che una forza lo pungoli di continuo. Non sta mai fermo, con quelle gambe sempre contratte in spasmi di impazienza.
“Pakistan, Marocco, siam lì eh? Sei l’unico che non fuma tu, apposto stiamo”. Lonero ride sempre, ma sottilmente, come se buona parte della risata rimanesse incastrata dentro.
“Il prof Tondelli, è lui che mi guarda”.
Quando il gruppo è riunito si può dire più o meno tutto, più o meno in qualsiasi ordine, più o meno lasciando da parte la pretese di dover dire le cose in un certo modo per sembrare qualcuno che non si è. Insomma, il gruppo è fidato, una fiducia che si consolida in momenti come questo, in cui è vitale essere come un corpo solo, un solo cervello, nel segno di una complicità assoluta. Saltare la scuola in quattro, tutti assieme, non è stata una grande idea. Ma è stata un’idea condivisa, e questo è quello che conta.
“L’altro giorno, quando mi interrogava, non mi mollava un attimo. Non lo sopporto”. Canetti a volte è capace di rabbuiarsi e rimestare, e in quei momenti il suo volto da ragazzino si fa improvvisamente adulto, deformato dal peso di certi pensieri improvvisi.
“E chi doveva guardare mentre ti interrogava?”, bofonchia il Bambi.
Nella stanza per un attimo tutto si è fermato. I tre guardano Canetti e si chiedono se quella sia una storia per cui valga la pena ritagliare un po’ di attenzione residua, bere dell’acqua e rimettere in sesto le bocche impastate e molli.
“In che senso ti guardava, Canetti?”. Lonero si è fatto cupo. Vuole capire, quando non capisce si sente come un animale minacciato.
“Mi guardava come non doveva, come se fosse interessato”.
“Ma che dici? Ti guardava come si guarda uno che non sa un cazzo”, prorompe De Giacomi con un leggero tremolio nella voce, ma nonostante questo più deciso del solito.
“De Giacomi, stai zitto, io lo so come mi guardava. E non mi piace per niente”.
“Se ti guarda così la Barelli però non ti lamenti mica”.
“Cosa centra, De Giacomi? Qui Canetti ci sta dicendo che il prof è frocio. Capisci la differenza?”. Lonero si è irrigidito e ha messo su il classico ghigno che tira fuori prima di uno scontro.
“Ne giriamo un’altra?”. Bambi non ama il conflitto.
“Certo che la so la differenza Lonero, datti una calmata. Dico solo che uno sguardo è solo uno sguardo, mica ha fatto nient’altro. E poi…”. De Giacomi, sempre in piedi, vaga con lo sguardo nella stanza fumosa, come a cercare un qualche punto fermo. Lonero lo scruta ma in fondo su questa faccenda non è che abbia molto altro da dire.
“E poi?”, chiede Canetti che ora si sistema il ciuffo e si mette seduto.
“E poi se è omosessuale che ce ne frega? A me piace come spiega le cose, punto”.
“Anche a me piace come spiega Tondelli. Ed è uno che non caga troppo il cazzo. Questo è l’importante”. Anche il Bambi ora è seduto composto, e sta sminuzzando gli ultimi pezzettini in una cartina.
“Ti piace come spiega le cose…”. Canetti guarda dritto De Giacomi che ricambia fisso, poi punta Lonero, che alza gli occhi al cielo e lancia uno sbuffo: “Canetti, però è vero che hai fatto una figura di merda l’altro giorno durante l’interrogazione, finiscila con le stronzate”.
I quattro ridacchiano.
“Se mi guardasse così la Barelli a quest’ora non sarei qui con voi sfigati”, taglia corto Canetti.
Il Bambi ha finito il suo capolavoro, lo scatto dell’accendino irrompe nell’atmosfera di nuovo distesa. De Giacomi finalmente si accascia sul letto, Canetti si ributta a pancia in giù stringendo un cuscino, Lonero aspetta impaziente il suo turno, sempre col suo sorrisetto stampato sulla faccia, come quello di uno che ha capito le cose senza il bisogno di dire e pensare chissà che.
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