- Cosa fai signore? Pensi?
Il bambino si era seduto e lo fissava intensamente, con impertinenza. L’uomo dovette fare uno sforzo non indifferente per articolare un linguaggio che, non appena rintuzzato tra lingua e denti, gli parve somigliante a un vagito primordiale. Era stato seduto su quella panchina imbambolato di fronte al mare col suo sguardo perso e ebete troppo a lungo. Chissà che figura.
- Sì, stavo pensando - tossicchiò schiarendosi la voce come se stesse aprendosi a un’imbarazzata confessione. - E a cosa pensi? - chiese subito il bambino. L’uomo indugiò per qualche istante. Guardò il mare fattosi calmo, immobile. Il vento era cessato e rimaneva solo il suono sciabordante delle onde che si spalmavano sfrigolando sull’arena di sassolini lucidi. Un ripetersi frusciante che pareva in grado di sovrastare ogni altro suono, ma che, non appena ci si concentrava su altro, si confondeva nella percezione, tramutandosi in un fondo quasi inudibile, indistinto, una sorda e costante presenza dominata da altri suoni irregolari e vorticosi che andavano e venivano.La folla, le risa, gli strepiti, i clacson, le rumorose sciabordate dei motori. - Penso che non so niente - rispose infine. Il bambino lo guardò corrucciando le sopracciglia in un moto di ridicola sorpresa. - Come non sai niente? - proruppe poi ridendo, - E allora a cosa serve che sei vecchio?
L’uomo subì quell’affermazione mascherata da domanda come un colpo basso. Non aveva mai pensato di essere vecchio, nessuno gliel’aveva ancora detto. Lo scopriva ora, in quel momento, per colpa di quel ficcanaso. - Le da fastidio il piccolo? - chiese una donna coprendo con una mano il microfono del cellulare, interrompendo una conversazione apparentemente di poca importanza, per poi rivolgersi al figlio senza aspettare la risposta dell’uomo, - non dar fastidio al signore! - e riprendere come niente fosse a parlare, ascoltare e annuire distratta.
- Io… non sono poi così vecchio - rispose al bambino. - Sì che lo sei, hai i capelli bianchi. Pausa, poi tutto d’un fiato. - Sei almeno vecchio come mio nonno e lui sa tantissime cose soprattutto tante storie che a volte sono noiose ma a volte sono interessanti e mi fanno ridere. Occhi sgranati e bocca semiaperta di chi la sa lunga. - E come sai che le storie del nonno sono vere? - domandò l’uomo al bambino, rendendosi subito conto di quanto fosse assurdo pretendere una risposta sensata a una domanda tanto ambigua rivolta a un ragazzino. Si sentì anche un po’ in colpa. Al contempo però iniziava a trovare simpatico quello strano interlocutore, guance rosse, moccio secco e strafottenza pronunciata. - Sono vere perché le dice per davvero - fece convinto il bimbo dopo averci pensato su per qualche secondo con gli occhi rivolti all’angolo sinistro della fronte. L’uomo rimase stupito dalla chiarezza della spiegazione. - E cosa ti racconta il nonno? - Mi racconta che quando era come me, cioè quando era un bambino, la sua casa l’hanno bruciata dei cattivi. Ed è vero perché ha una cicatrice qui, sul braccio. E poi mi racconta delle storie di fantasia che non sono vere però lo sappiamo tutti e due ma facciamo finta di sì.
- Le storie di fantasia a volte sono più vere di tutte le altre, sai? Il bambino annuii convinto, come se quella fosse la certezza più incrollabile di tutto il bagaglio di conoscenze di tutta l’umanità fin dal primo dei giorni. L’uomo rimuginò su quanto aveva appena detto e pensò a sua moglie, che poco prima era lì con lui e gli parlava. Stavano giusto ricordando una vacanza al mare, tanti anni prima, in un campeggio selvaggio nella macchia corsa, pieno di tedeschi che camminavano a piedi nudi anche nei cessi. Come eravamo giovani. Dove l’abbiamo poi messa quella tenda canadese? Gli aveva chiesto lei. Sapeva bene che dopo il primo figlio le loro vacanze erano diventate molto meno avventurose e la canadese aveva smesso di farne parte. Sarà ancora da qualche parte in cantina, coperta di polvere. Quest’anno la potremmo anche disseppellire. Oppure no: compriamocene una nuova, di quelle che si aprono da sole, basta lanciarle in aria. Lei aveva riso portando la testa all’insù, mostrando una fila di denti bianchi e una gola tesa, appena screziata dai solchi delle rughe. Per forza caro! Sai ancora piantare i picchetti, tendere bene il telo, e tutte quelle cose lì?, aveva scherzato. Lui si era impettito e ridendo si era battuto il petto. Cosa credi, sono ancora un uomo vigoroso sai? Come allora, ti ricordi? Allusioni. Le aveva accarezzato una ciocca di capelli che ciondolava nel vento e le aveva impresso un bacio leggero sul collo. Lei se lo era goduto, quel bacio, tenendo il collo teso e dritto verso il cielo.
- Però non ho tanto capito cosa vuol dire che le storie finte sono più vere di quelle finte. Se sono f i n - t e sono f i n - t e ! Mio nonno dice sempre che dei cattivi f i n - t i non devo avere paura perché non esistono davvero. Il bambino non se l’era bevuta, aveva solo reagito d’impulso alla fermezza con cui l’uomo gli aveva spacciato il suo dogma tutto fumo e niente arrosto. A cosa serve essere vecchi se poi quello che è importante non lo si sa?, si trovò a pensare richiamando la più solida verità presentatagli dal bambino poco prima. Arrivare fin qui ed accorgersi che nulla di nulla resta, niente e incrollabile, niente è sicuro. Ogni certezza è come la sabbia, finisce per essere masticata e inghiottita dal mare.
- Però la sabbia continua ad esserci, solo che sopra c’è l’acqua e non la vedi - disse il bambino. L’uomo, che ormai si sentiva vecchio, guardo il moccioso interdetto. Cosa? Che mi sia lasciato sfuggire qualcosa? No, ne era sicuro, non aveva parlato, aveva solo pensato quel ragionamento. Non faceva che pensare, pensare, pensare. Forse i suoi pensieri si erano fatti così spessi da farsi udibili, visibili, toccabili. - Ora andiamo Michele. Scusi ancora. Spero non l’abbia tormentata troppo. - Ciao signore! Manina agitata che fa ciao, l’altra stretta in quella della mamma, tutto un nuovo mondo davanti, entusiasmo, fine della storia.
Che lui in fondo sappia molte più cose di me? Si chiese l’uomo. È del tutto plausibile, in fondo, visto che io non so proprio niente. Guardò ancora un attimo davanti a sé, si passò le mani sul volto in una sorta di figurativa abluzione. Sbuffò forte. Si alzò dalla panchina e le gambe erano lì a reggerlo molto meglio di quanto avesse pensato. Si ricordava una versione di se stesso più stanca e svuotata. Dove sei, cara mia? Dove sei finita? Questo proprio non lo so. Forse, forse in fondo al mare. E mentre l’uomo si allontanava tra i passanti il mare sciabordava, schiumando e sfrigolando tra i sassolini, rimescolando la sabbia e coprendo tutto con il suo incessante rumore.
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