Le conseguenze della solitudine

 


 

Di Matteo Amatori


«Si nasce e si muore soli». Me lo ha ripetuto spesso una persona a cui ho voluto bene. Devo essere sincero, non sono mai riuscito a dare a questa espressione un peso specifico. Mi è sempre sembrata una frase che vuole esprimere un fatto profondissima ma privo di un collegamento ad un (mio) dato esperienziale.

Di recente, di fronte alla prospettiva di un nuovo lockdown, mi è tornata in mente questa frase e, paradossalmente, ora mi sembra abbia acquisito un senso e un riscontro con la realtà che ho già vissuto e che mi appresto a rivivere nuovamente.

Il lockdown e il conseguente isolamento producono effetti collaterali particolarmente dannosi. Amplifica le fobie, le ansie, aumenta gli stati di paranoia e, conseguentemente, produce anche effetti regressivi nelle relazioni e nei rapporti interpersonali. L’isolamento forzato, conseguenza della pandemia in corso, ci mette a nudo. Ci obbliga a ragionare su qualcosa che non ha a che fare con l’esperienza della vita ma semmai con la dimensione della morte.

L’isolamento ha il volto e le sembianze di una morte anticipata.

L’identità si nutre di un confronto costante con sé stessi e con gli altri. Se è pur vero che il ruolo che abbiamo assunto nel tempo nei confronti di tutte le persone che fanno parte della nostra vita non cessa in un periodo di isolamento, la difficoltà di condivisione dell’esperienza della solitudine forzata accresce ancora di più la nostra distanza con gli altri.

La solitudine aumenta l’introspezione e accentua il dialogo interiore. Ma un eccesso di solitudine ci porta, col tempo, a costruire barriere e a cambiare il nostro rapporto con la realtà. Realtà che viene reinterpretata più volte proprio a seguito del nostro fitto dialogo interiore. Quando la realtà non è più condivisa con altri, l’interpretazione stessa della realtà cessa di essere “negoziata”. In questo modo il mondo in cui viviamo diventa a stretta misura individuale. Nel “nuovo mondo” c’è spazio solo ed unicamente per “l’io”.

In questo senso, l’isolamento produce due effetti opposti: da una parte l’individuo sperimenta un forte senso di espressione di libertà alimentando, giorno per giorno, la costruzione di un mondo a misura del sé. D’altra parte, l’individuo che si affranca dal mondo produce anche l’effetto contrario: quello della morte del “sé” in rapporto agli altri. Se viene infatti a mancare la realtà condivisa con altri viene a mancare lo spazio in cui avviene la costruzione di una parte fondamentale dell’identità di ciascuno di noi.

In tempi normali, entrambe le dimensioni, “il mondo del sé” e la realtà condivisa con gli altri, possono coesistere e convivere in maniera più o meno armonica. Ma se prevale una dimensione a scapito dell’altra il rischio è quello di perdere una parte fondamentale del nostro “sé” e quindi della nostra identità.

Anche la morte ha due dimensioni. Una strettamente “fisica”, ovvero l’assenza di vita biologica. Ma la morte è anche “immateriale”; è assenza dei meccanismi che producono le relazioni umane e che generano senso e identità per l’individuo.

Cos’è la morte se non assenza di identità? E che cosa vuol dire, in questo senso, “essere di fronte alla morte”?

Pensando alla morte ci viene subito in mente l’ultima tappa della vita, l’esperienza dell’avvicinamento di un’”assenza del sé”. Un’esperienza che nessuno può dirsi preparato ad affrontare. Esattamente come l’esperienza della nascita, di cui non abbiamo un ricordo, nessuno potrà mai raccontarci l’esperienza della scomparsa del sé e quindi della vita. Vi è quindi una totale mancanza di condivisione dell’esperienza e questo ci fa sentire legittimamente angosciati.

La solitudine e l’isolamento forzato ci nega la possibilità di un confronto con la medesima esperienza vissuta da altri. Anche se abbiamo a disposizione supporti tecnologici, come pure molteplici occasioni di confronto su piattaforme online, non riusciamo a placare la nostra esigenza di condivisione in rapporto a ciò che stiamo vivendo in solitudine. Il dialogo interiore accelera ma, all’opposto, la comunicazione con gli altri peggiora. Abbiamo come l’impressione che una parte di noi non possa emergere, possa scomparire o, peggio ancora, possa essere ignorata dagli altri. Sintetizzando, è paura di “assenza di sé”, una morte anticipata.

In questo momento molti di noi sentono rifiorire alcune sensazioni percepite durante il primo lockdown. Sappiamo a cosa stiamo andando di nuovo incontro. Ci arrabbiamo, coviamo forme di ansia ed esplodono tutte le tensioni latenti.

È un momento delicato ed ognuno di noi si trova di fronte ad una prova difficile, soprattutto chi vive da solo e lontano da famiglia e amici stretti. Non serve sottovalutare l’impatto di questa esperienza e occorre non nasconderla. Al contrario, è sano far emergere la necessità di condivisione che ciascuno di noi cova legittimamente in questo specifico momento.

 

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