[#09] Dischi di settembre (con lo ⓪)

A settembre si respira aria di cambiamento, e i dischi in questione hanno tutti la caratteristica di cambiare, a loro modo, le carte in tavola, prefigurando tendenze capaci di durare ben oltre i loro rispettivi decenni. Buon ascolto!

► 1970

the stooges iggy pop fun house 1970

The Stooges - Fun House (Elektra)

Iggy Pop, folgorato dal cantante dei Doors, è l'anti-Morrison. Come lui istrionico, teatrale, perso nel proprio personaggio. Ma, al contrario del re lucertola, materiale e nichilista, libidinoso d'una libidine non persa nelle elucubrazioni di fuga, ma nella materialità spinta del qui ed ora, per un realismo sfacciato, brutale. Fun House è espressione grandiosa di un approccio preciso al palco e alla musica, se non alla vita stessa, e l'incipit "Down on the Street" ne è il perfetto stendardo. Sferragliare scomposto di chitarre che, nella loro furia liberatoria, perdono i legami con le infinite manipolazioni di genere, per vivere di luce propria, di proto-punk che altro non era, nel 1970, che espressività bastarda e irrispettosa. Tutto l'album vive di questa prestanza anfetaminica che muove come un motore impazzito le chitarre violente di Ron Asheton (incredibile l'energia dispiegata in "T.V. Eye"), il basso corposo e martellante di Dave Alexander, la batteria schiacciasassi di Scott Asheton e la voce sguaiata di Pop che latra ("1970") su strati e strati di rumore capace di essere brutale ("L.A. Blues"), ma anche conturbante ("Dirt"). Un capolavoro assoluto.

► 1980

dead kennedys hardcore 1980

Dead Kennedys - Fresh Fruit for Rotten Vegetables (Alternative Tentacles)

Si parlava di rumore, chitarre frastornanti e pose sguaiate? Continuiamo pure sulla stessa scia. L'esordio dei Dead Kennedys, rappresentanti illustri della scena hardcore californiana, è una delle più interessanti interpretazioni del punk in salsa americana. Una sequenza di filastrocche infilate una dopo l'altra in un contesto sonoro sciabordante, tiratissimo: la melodia e il sound pesante si fondono a vicenda passando in rassegna brandelli di rock anni Cinquanta e Sessanta (un surf-rock accelerato e brutalizzato), aprendo una via da allora particolarmente frequentata. Pezzi iconici come "Let's Lynch the Landlord", "California Uber Alles", "Holiday in Cambodia" rappresentano non solo la grande capacità di costruire composizioni indimenticabili, ma anche lo stile sardonico e urticante della scrittura di Biafra. Un pezzo di storia, impossibile non conoscerlo.

► 1990

cocteau twins shoegaze 1990

Cocteau Twins - Heaven or Las Vegas (4AD)

NME definiva la musica dei Cocteau Twins come "problematica". Effettivamente inquadrare la band in etichette e definizioni non è mai stata, per fortuna, cosa facile: dal sound gotico e new wave degli esordi, il trio ha lavorato intensamente su un sound spazioso, rifinitissimo, luminescente e spesso impalpabile, tra i giochi di sfumature e riverberi del chitarrista Robin Guthrie e i vocalizzi vertiginosi e profumati di Elizabeth Frazer. Se già con il buon Blue Bell Knoll si presagiva un ulteriore affinamento di questa ricerca esclusiva per le texture (grazie anche alla costruzione del nuovo studio di registrazione che permise al gruppo di sperimentare a piacimento), Heaven or Las Vegas riesce a dar forma compiuta al miracolo, superando ogni aspettativa. Capolavoro di scrittura e di resa sonora (ed è proprio la consistenza del suono a lasciare basiti, con quella straordinaria combinazione di missaggio limpido e distorsione soffusa), il sesto album della band è da assorbire ascolto dopo ascolto, ed è capace di lasciare ancora stupiti a trent'anni dalla pubblicazione. Le canzoni sono soffici, fumiganti, eppure modernissime e luminescenti ("Cherry-coloured Funk" e il basso di Raymonde fluttuante a mo' di medusa sulle chitarre vaporizzate di Guthrie, "Pitch the Baby" e le sue permeanti ondulazioni elettroniche su tremolo insistente), il gusto per la non linearità delle composizioni vira verso una prestanza pop a tutto tondo ("Iceblink Luck", "Fifty-fifty Clown", "Wolf in the Breast"), gli scenari sonori si aprono a esplorazioni ardite, incatalogabili ("Heaven or Las Vegas" e "Fotzepolitic" si muovono su dilatazioni shoegaze, "I Wear Your Ring" è un continuo mutare verso lo splendido refrain, "Frou-frou Foxes in Midsummer Fires" regala un'esperienza unica). Insomma: amore incondizionato per un album stupendo.

► 2000

at the drive-in 2000 rock

At the Drive-In - Relationship of Command (Grand Royal)

In fin dei conti ci troveremo a celebrare gli anni Zero come fantastici, e gruppi come gli At the Drive-In come mitici alfieri dell'epica stagione rock di inizio decennio (assieme a gente come My Chemical Romance, Deftones, My Vitriol e tanti altri). Dischi come Relationship of Command, pensandoci oggi (dopo averli malcagati ieri), dimostrano quanta vitalità esprimesse la scena in quegli anni: erede dei Fugazi e cugina prossima dei Rage Against the Machine, la band di Cedric Bixler-Zavala, Omar Rodriguez Lopez, Jim Ward, Paul Hinojos e Tony Hajjar sfodera brani poderosi, roventi, complessi nelle strutture articolate e massicce, nei continui saliscendi compositivi, nelle aperture melodiche emo e nelle squadrature math, inanellando lungo la scaletta capolavori hardcore come "Pattern Against User", "One Armed Scissor", "Invalid Litter Dept.", "Cosmonaut" e "Catacombs". Le componenti maggiormente legate alle evoluzioni progressive si trasmetteranno nei Mars Volta, composti dai fuoriusciti Bixler-Zavala e Rodriguez (capaci anche in questo caso di sfornare un lavoro con i fiocchi). Questo e De-Loused in the Comatorium fanno un bel botto. Da provare. 

► 2010

javiera mena chile electronic pop 2010

Javiera Mena - Mena (Unión del Sur)

Stella del firmamento indipendente cileno, Javiera Mena (assieme a Gepe e Alex Anwandter) dimostra per l'ennesima volta la capacità di anticipazione di quel lato del mondo ignorato al di qua dell'Oceano se non per sporadiche e caricaturali manifestazioni rappresentative. Dopo quattro anni dall'ottimo Esquemas juveniles, Mena rappresenta un vero e proprio salto di qualità: si passa in rassegna un pop elettronico variegato e contaminatissimo, fittissimo di manipolazioni che pescano tanto da una disco rimaneggiata a dovere che da un synthpop anni Ottanta luccicante e cromato. "Hasta la verdad" in questo senso è programmatica: synth futuristici, tastiere disco, piglio dance lussurioso, per un mix compositivo di gran classe, che ricorda i migliori Cut Copy. Le fascinazioni retro si fanno particolarmente sentire in "Primera estrella", "El amanecer", "Acà entera", sempre però aggiornate a una resa contemporanea rinvigorita da una fulgida scrittura pop ("No te cuesta nada", "Un audifono tu, un audifono yo") e da un senso degli arrangiamenti sempre votato a un'equilibratissima abbondanza (dal tropicalismo balearico di "Luz de piedra de luna" alla sampledelia impattante di "Sufrir"). Un viaggetto in America Latina ci sta, no?
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