[#04] Dischi di aprile (con lo ⓪)

Aprile è il mese più crudele, eccetera eccetera. Qui la fase 2 pare una riproposizione della fase 1, solo con più gente in giro. Quello che non cambia però, è il consueto appuntamento (caschi il mondo) con i ripescaggi musicali del passato. Buon ascolto!

► 1970

ten years after acid rock 1970
Ten Years After - Cricklewood Green (Deram)

L'album più entusiasmante del gruppo londinese arriva dopo tre anni dall'ottimo esordio e dopo un paio di tentativi non troppo a fuoco di rinvigorirne i fasti. In Cricklewood Green troviamo però uno spirito nuovo, un'ispirazione ardente che finalmente raggiunge il perfetto equilibrio tra le ardite evoluzioni della chitarra di Alvin Lee, gli eleganti fraseggi della tastiera di Chick Churchill e l'evocazione di uno spirito dei tempi che si fa strada tra superamento della psichedelia, ispessimento del sound e ibridazioni fantasiste tra passato e futuro. Lo si percepisce tanto nelle calcature heavy blues di "Sugar the Road" e  "Working on the Road", bombastiche e sbuffanti (merito anche di una sezione ritmica trainante), quanto negli sviluppi suadenti della mozzafiato "50,000 Miles Beneath My Brain" (fascinosa e coinvolgente suite psichedelica, frutto immaginario di una jam tra i Rolling Stones e i Quicksilver Messenger Service) e nella catarsi di "Love Like a Man", dove tra rimbombare di basso e saettare di corde elettriche si da vita a una delle più appassionanti e vigorose impennate hard rock  di sempre. Alvin Lee e i suoi Ten Years After sono un vaccino straordinario contro il tedio e il grigiore, e in cinquant'anni nulla del vigore originario è andato sfumando.

► 1980

the cure seventeen seconds goth rock 1980
The Cure - Seventeen Seconds (Fiction)

Il secondo disco dei Cure fu uno dei più radicali e fascinosi cambi di passo della storia del pop. Un lavoro che ho sempre trovato tanto bello quanto precario, ambiguo, con quella sua attitudine allo sfumato, all'alternanza di pieni e vuoti, con il suo spirito ansiogeno, incerto, sfuggente. Non siamo ancora al livello delle bonacce dark del successivo Faith, né al nichilismo di Pornography: qui si respira un'aria infestata ma ancora non del tutto inerte. Tra pezzi d'atmosfera (dove l'andamento è asciutto, incentrato su ritmiche ripetitive e su armonie sciolte, soffuse) come l'introduttiva "A Reflection", la mesta "Secrets", l'onirica e infestata "Three", troviamo meraviglie come "Play for Today", con le sue aperture melodiche gravi e incalzanti, l'iconica "A Forest", con la sua propulsione ritmica impantanata in una claustrofobica gabbia ritmica intarsiata dalla chitarra di Smith (protagonista, assieme a un basso arcigno, della bellissima coda strumentale), passando per le ballate ombrose e gotiche di "Your House", "At Night" e "Seventeen Seconds". Il primo traguardo in una discografia incapace di passi falsi. La storia dei Cure inizia da qui.

► 1990

inspiral carpets life 1990 madchester
Inspiral Carpets - Life (Cow)

Il coloratissimo sophomore di pop psichedelico dei mancuniani Inspiral Carpets diede definitivo slancio, con una fragrante nota anni Sessanta, al variegato movimento Madchester che da qualche anno colorava l'underground inglese. Assieme a Happy Mondays, Charlatans e Stone Roses, la band di Graham Lambert e Tom Hingley riscoprì il lato sfrenato e spensierato del pop britannico, consacrandosi a un suono sì retromaniaco (il Farfisa, le chitarre jangly, il piglio garage), ma sganciato nelle pose e nel mood, pienamente in linea alla contemporaneità (danzereccio, sfrontato, baggy). Un barbugliare di sintetizzatore introduce la prima "Real Thing", subito annientato dal tripudio di organetto che, per tutto l'album, costituirà la sostanza principale di un garage rock rivisitato e imbastardito per la generazione post-second summer of love. Se brani come "Song for a Family", barocca e sinuosa (e memore dei migliori Stranglers) e "Directing Traffik", energica allegoria sociale dagli arrangiamenti densi e collosi, rappresentano i vertici della scrittura della band, pezzi come "This Is How It Feels", "Many Happy Returns", "She Comes In the Fall" e "Sackville", non fanno che ribadire un grande agio nel mischiare psichedelia vorticosa, accelerate garage e una corposa spazialità new wave. Se con il successivo The Beast Inside gli Inspiral Carpets sforneranno uno dei definitivi capolavori del pop inglese anni Novanta, questo Life è ancora oggi un vero gioiellino, viatico per l'esplosione Britpop che da lì a poco avrebbe dominato le scene.

► 2000

the hives garage rock 2000 The Hives - Veni Vidi Vicious (Burning Heart)

Chi di voi non ha mai sentito "Hate to Say I Told You So"? Ecco, è significativo che un brano così noto a una generazione di adolescenti e pre-adolescenti degli anni Duemila fosse nient'altro che un garage rock sessantiano al fulmicotone, passatista fino al midollo ma sospinto da un senso del rock'n'roll perfettamente al passo con i tempi, con il suo miscuglio di britpop (penso ai Blur), indie rock, noise e punk. Interessante poi notare come This Is It, degli americani Strokes, finisse l'anno successivo a rinverdire una scena rock data per spacciata (sebbene con fare più bohémien, ma ugualmente legato a comuni punti di riferimento), aprendo di fatto la strada per la tardiva scoperta statunitense degli stessi Hives, sfavoriti dalla provenienza periferica (la Svezia, che nei Duemila avrebbe conosciuto una discreta rinascita pop). Ora, il disco è semplice e proprio per questo coinvolgente: sferragliate soniche come la prima "The Hives-Declare Guerre Nucleaire", "Die, All Right!", "Main Offender", "Supply and Demand", tutte dominate dalle sguaiate chitarre della coppia Almqvist-Karlsson, pestate come strumenti puramente ritmici, e dall'ancora più sguaiata prestanza vocale di Howlin' Pelle Almqvist, filastrocche punk'n'roll incendiarie ma dal grande appeal melodico. Un lavoro fondamentale per ridare fiducia nelle chitarre in un periodo in cui il loro ruolo era dato per spacciato.

► 2010

dirtmusic bko tishoumaren 2010 Dirtmusic - BKO (Glitterhouse)

Il blues del deserto è stata una delle "scoperte" cruciali degli anni '10, nonostante le band in questione fossero attive da tempo. In un gioco di "colonizzazioni sonore alternate", succede che i Dirtmusic, gruppo sloveno dedito a un sound Americana (appunto), durante un viaggio in Mali per partecipare al Festival in the Desert, entrano in contatto con i Tamikrest, formazione locale di cui le stampe musicali danno informazioni a partire dal 2008, un paio d'anni dopo la formazione. Con i Tamikrest, tra i rappresentanti del blues desertico dei Tuareg, gli sloveni danno vita a una collaborazione di suadenti ibridazioni tra rock ("Ready for the Sign" e "Unknowable", che mantengono la barra dritta su sonorità Usa, sebbene ornate da tappeti di percussioni africane - e per quanto il banjo sia strumento importato dall'Africa) e jam in stile Tishoumaren (la prima "Black Gravity", "Desert Wind", "Niger Sundown", oltre che la splendida rivisitazione di "All Tomorrows Parties", dove convivono i melismi Tuareg e le chitarre magnetiche di Ousmane Ag Mossa e Mossa Ag Borayba). Un lavoro interessante, un melting pot sonoro energico e ispirato, ennesimo ponte comunicativo e creativo tra continenti.

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