Ci siamo, anche il secondo anno di classifiche è andato. La fine di un decennio è sempre vissuta come un momento carico di promesse e attese. Convenzionalmente, il mondo della pop music affida ai diversi decenni il compito di fare da classificatori temporali di tendenze e identità musicali definite: gli anni Sessanta sono gli anni della controcultura e della psichedelia, gli anni Settanta del rock e del punk, gli Ottanta della new wave, i Novanta del grunge e dell'elettronica. Ovviamente nessuna di queste etichette corrisponde alla realtà. Tutto dipende dalla narrazione prevalente, via via rinnovata. E per quanto riguarda i Duemila e gli anni Dieci? In questo caso quello che sembra mancare è proprio una narrazione condivisa, oltre alla ridotta centralità del pop nell'identità delle persone e dei giovani (e del discorso pubblico). Il pop è onnipresente ma squalificato, e la sua frammentazione estrema, se da un lato impedisce una grezza gerarchizzazione del gusto, dall'altra inibisce una riflessione sul suo ruolo sociale, rischiando di privilegiare un'individualizzazione del gusto basata su esigenze di mercato (ignorando che il gusto non è mai un fatto personale).
Detto ciò, ecco che come al solito passo in rassegna, forse per l'ultima volta, i dischi più interessanti del 1969, 1979, 1989, 1999 e 2009. Buon ascolto!
Detto ciò, ecco che come al solito passo in rassegna, forse per l'ultima volta, i dischi più interessanti del 1969, 1979, 1989, 1999 e 2009. Buon ascolto!
Qui l'elenco delle puntate precedenti:
► 1969
Gal Costa - Gal (Philips)
Cosa ci si può aspettare da un disco con una copertina così? Ecco, il terzo album della gal brasiliana è un concentrato incendiario di tropicalismo psichedelico e heavy, pasticciato e anarchico: merito degli arrangiamenti di Rogerio Duprat, dei brani a firma di Caetano Veloso, Tom Zé, Erasmo Carlos, Gilberto Gil, Jorge Ben, e ovviamente dell'estro incontenibile della Costa.
Ogni brano pesca da una tavolozza variopinta e cangiante: l'attacco di "Cinema Olympia", con quella chitarra distorta e aggressiva, è subito addolcito da un basso corposo che avvolge un andamento fumoso e riflessivo, che però è costantemente stuzzicato dai lamenti della chitarra e dai sussulti di una batteria nervosa (che finiscono per prendere il sopravvento sul finale), "Tuareg" è profumata di suadenti sapori mediorientali, "Cultura E Civilização" è contorta e frenetica nelle sue dizioni libere, nelle sue chitarre fuzzose e impudiche (così come la sfrenata carica funky-tropicalista di "Como Medo, Com Pedro"), "Paìs tropical" è coloratissima bossa nova tinta di beat music, per non parlare delle sperimentazioni astratte di "Empy Boat", "Objeto sim, objeto não" e "Pulsars e Quasars", intrichi di samba rivisitata, freak music zappiana, divagazioni psichedeliche, decostruzioni dadaiste.
Il Brasile di fine anni Sessanta è, nelle sue contraddizioni, una miniera di creatività strabordante, di urgenza espressiva e di umori rivoluzionari manifestati tramite un'estetica provocatoria e catartica, intrisa di tutta la volontà di cambiamento radicale di una generazione fantastica.
► 1979
Germs - (GI) (Slash Records)
Disco iconico per cui non servono presentazioni. Una dopo l'altra si susseguono come schegge le estremizzazioni punk di Darby Crash, tra i capostipiti della scena hardcore californiana (assieme a Dead Kennedys e Black Flag).
Lungo una scaletta che, nonostante i 16 brani, tiene impegnato l'ascoltatore per meno di 40 minuti, si susseguono pezzi di incredibile irruenza dove le chitarre - stratificate, lancinanti, capaci di un certo virtuosismo di genere - di Pat Smear prefigurano quelle degli Hüsker Dü ("Strange Notes"), dove Crash si dilunga in versi animaleschi sovrastato da una band in modalità d'attacco ("Manimal"), ma anche filastrocche schiettamente punk ("Richie Dagger's Crime", "Lexicon Devil"), dove l'estro compositivo minimale della band si sposa con un grande senso melodico. Sono però i toni ombrosi e disperati di "Land of Treason", con il tormentato giro di basso di Lorna Doom, o la lunga digressione alla Stooges di "Shut Down", a connotare il lavoro di un valore aggiunto capace di far spiccare l'album una spanna sopra alle produzione punk dell'epoca.
Questa è storia, poco altro da dire.
Disco iconico per cui non servono presentazioni. Una dopo l'altra si susseguono come schegge le estremizzazioni punk di Darby Crash, tra i capostipiti della scena hardcore californiana (assieme a Dead Kennedys e Black Flag).
Lungo una scaletta che, nonostante i 16 brani, tiene impegnato l'ascoltatore per meno di 40 minuti, si susseguono pezzi di incredibile irruenza dove le chitarre - stratificate, lancinanti, capaci di un certo virtuosismo di genere - di Pat Smear prefigurano quelle degli Hüsker Dü ("Strange Notes"), dove Crash si dilunga in versi animaleschi sovrastato da una band in modalità d'attacco ("Manimal"), ma anche filastrocche schiettamente punk ("Richie Dagger's Crime", "Lexicon Devil"), dove l'estro compositivo minimale della band si sposa con un grande senso melodico. Sono però i toni ombrosi e disperati di "Land of Treason", con il tormentato giro di basso di Lorna Doom, o la lunga digressione alla Stooges di "Shut Down", a connotare il lavoro di un valore aggiunto capace di far spiccare l'album una spanna sopra alle produzione punk dell'epoca.
Questa è storia, poco altro da dire.
► 1989
808 State - 90 (ZTT Records)
La storia della dance inglese e della second summer of love il cui spirito animò i rave di Londra e dintorni tra il 1988 e il 1989, passa per gli 808 State, pionieri del trapianto della musica house nel Regno Unito. Il lavoro di Graham Massey, Martin Price e Gerald Simpson spalancò le porte a una concezione radicalmente nuova di elettronica: musica funzionale, sganciata da ogni cerebralismo krauto (per quanto l'approccio rimanesse sofisticato) e da restrizioni identitarie troppo limitanti, votata al ballo (alternativo), allo stordimento (grazie all'MDMA) e all'universo pop. Un'intuizione che garantì una gemmazione oltremodo feconda lungo tutti gli anni Novanta (e oltre).
Ninety è quindi il disco cardine di questo rinnovamento, e "Pacific 202" ne è l'archetipo: il synth angelico e ambient fa presto strada ai sinuosi fraseggi acidi, mentre sullo sfondo si ammassano un campionamento di sax, campanelli, fischietti, il tutto scandito da un beat propulsivo e incessante. Notevoli anche "Donkey Doctor", con quelle linee di synth diafane di stampo sci-fi che navigano sul basso gorgogliante del Roland Juno 106 e del Moog, o l'anthemica "808080808", estasi acida di intrichi di drum machine (poco 808, soprattutto 909 e R8, come racconta Massey) e linee sintetiche, senza dimenticare le sinuosità house di "Magical Dream" e la sampledelia fitta fitta di "Ancodia".
Un lavoro influentissimo e sperimentale (una sperimentazione da laboratorio, dove i mezzi tecnici sono un tutt'uno con la sostanza sonora, come si legge in questa intervista), senza il quale molto di quanto balliamo e ascoltiamo oggi non esisterebbe.
La storia della dance inglese e della second summer of love il cui spirito animò i rave di Londra e dintorni tra il 1988 e il 1989, passa per gli 808 State, pionieri del trapianto della musica house nel Regno Unito. Il lavoro di Graham Massey, Martin Price e Gerald Simpson spalancò le porte a una concezione radicalmente nuova di elettronica: musica funzionale, sganciata da ogni cerebralismo krauto (per quanto l'approccio rimanesse sofisticato) e da restrizioni identitarie troppo limitanti, votata al ballo (alternativo), allo stordimento (grazie all'MDMA) e all'universo pop. Un'intuizione che garantì una gemmazione oltremodo feconda lungo tutti gli anni Novanta (e oltre).
Ninety è quindi il disco cardine di questo rinnovamento, e "Pacific 202" ne è l'archetipo: il synth angelico e ambient fa presto strada ai sinuosi fraseggi acidi, mentre sullo sfondo si ammassano un campionamento di sax, campanelli, fischietti, il tutto scandito da un beat propulsivo e incessante. Notevoli anche "Donkey Doctor", con quelle linee di synth diafane di stampo sci-fi che navigano sul basso gorgogliante del Roland Juno 106 e del Moog, o l'anthemica "808080808", estasi acida di intrichi di drum machine (poco 808, soprattutto 909 e R8, come racconta Massey) e linee sintetiche, senza dimenticare le sinuosità house di "Magical Dream" e la sampledelia fitta fitta di "Ancodia".
Un lavoro influentissimo e sperimentale (una sperimentazione da laboratorio, dove i mezzi tecnici sono un tutt'uno con la sostanza sonora, come si legge in questa intervista), senza il quale molto di quanto balliamo e ascoltiamo oggi non esisterebbe.
► 1999
Kelis - Kaleidoscope
I Neptunes sono stati tra i più geniali produttori della musica pop contemporanea. Pharrell Williams e Chad Hugo, qui alle prese con la scrittura e la produzione dell'esordio di Kelis, tra le principali artiste capaci di traghettare r&b e neo-soul nel nuovo Millennio.
Produzione bombastica e colorata che, se da un lato aggiorna il new jack swing della prima metà degli anni novanta, dall'altro cerca nuove strade per un genere sempre più ibridato e cangiante. "Good Stuff" da' subito l'idea del potenziale liberato dalla formula Neptunes/Kelis: basi grasse e roventi, con quel motivo di piano che fornisce un gancio appetitoso su cui sviluppare il beat hip hop e il motivetto sintetico acid, in un tripudio di sensualità e innovazione sonora senza precedenti. L'infittirsi delle trame sampledeliche si sviluppa lungo una scaletta irresistibile: dal singolone "Caught Up There" agli arrangiamenti psichedelici di "Mafia", dalle giocose texture 8-bit di "Game Show" alle incredibili capovolte di "Mars" (una vera goduria per le orecchie), passando per la soffusa e neo-soul "Suspended" e per l'r&b tecnologico e futurista di "No Turning Back".
Un punto d'arrivo e di partenza importantissimo per un genere (sempre più meta-genere) che avrebbe dominato gli anni successivi.
I Neptunes sono stati tra i più geniali produttori della musica pop contemporanea. Pharrell Williams e Chad Hugo, qui alle prese con la scrittura e la produzione dell'esordio di Kelis, tra le principali artiste capaci di traghettare r&b e neo-soul nel nuovo Millennio.
Produzione bombastica e colorata che, se da un lato aggiorna il new jack swing della prima metà degli anni novanta, dall'altro cerca nuove strade per un genere sempre più ibridato e cangiante. "Good Stuff" da' subito l'idea del potenziale liberato dalla formula Neptunes/Kelis: basi grasse e roventi, con quel motivo di piano che fornisce un gancio appetitoso su cui sviluppare il beat hip hop e il motivetto sintetico acid, in un tripudio di sensualità e innovazione sonora senza precedenti. L'infittirsi delle trame sampledeliche si sviluppa lungo una scaletta irresistibile: dal singolone "Caught Up There" agli arrangiamenti psichedelici di "Mafia", dalle giocose texture 8-bit di "Game Show" alle incredibili capovolte di "Mars" (una vera goduria per le orecchie), passando per la soffusa e neo-soul "Suspended" e per l'r&b tecnologico e futurista di "No Turning Back".
Un punto d'arrivo e di partenza importantissimo per un genere (sempre più meta-genere) che avrebbe dominato gli anni successivi.
► 2009
College - A Real Hero EP
Esempio di unione sinestetica tra musica e cinema, "A Real Hero" è tra i brani che consacrano il cosiddetto "suono Drive", in un legame inestricabile tra pop elettronico cromato, fortemente stilizzato (quella sensazione di "già sentito" frutto di un'esplicita operazione di retromania anni Ottanta), e tra soundtrack music (il film di Refn, inutile dirlo, è un capolavoro).
Si potrebbe citare solo anche solo per la title track l'EP dei francesi College (qui in collaborazione con gli Electric Youth), con il suo corposo basso oscillato e l'eterea linea melodica, ma il lavoro è anche una piacevole prova di synthwave d'antan, come nel caso di "Critical Mass", che ci riporta agli albori del genere, o a "Susan Waiting", dall'incedere techno e dal piglio New Order.
Un EP che coglie una weltanschauung e impone un approccio estetico destinato a divenire prevalente, pescando a piene mani in un revivalismo che avrebbe fatto la fortuna degli anni Dieci.
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