Così alla prima “3WW”, suggestivo reiterarsi indietronico di accordi in fingerpicking su un pattern ritmico scricchiolante e dilatazioni ambient, non seguono - fatta eccezione per una discreta e relativamente vivace “In Cold Blood”, con tanto di sezione di ottoni ad incendiare il costante crescendo – pezzi altrettanto validi. Si passa infatti dall’inaspettata e piuttosto insipida cover di “House of the Rising Sun” (riscritta in chiave ambient-folk, senza aggiungere niente di particolarmente brillante al celebre brano), alla polverosa “Hit Me Like That Snare”, sorta di improvvisazione garage/rockabilly in bassa fedeltà (accostabile a quanto fatto dai Deerhunter di “Monomania”), dove uno sguaiato Joe Newman biascica una filastrocca su spire di synth e chitarre sporche in overdrive; dalle grasse spire synth di “Deadcrush”, alla diafana ballata electro-folk “Adeline”, di chiara derivazione radioheadiana.
Lascia l’amaro in bocca, “Relaxer”, perché dopo otto tracce niente si fissa alla mente, niente spicca. Gli alt-J si baloccano con un discreto buon gusto, in una rilassata noncuranza nella gestione spaziale, in una disinvolta attitudine ad un espressionismo libero ma eccessivamente auto-compiacente. A peggiorare le cose arriva la piccola gemma incastonata a fine album, quella bellissima “Pleader” capace di dispensare con giusta e ottimamente congegnata lentezza un inno di grande impatto (si mescolano qui elementi chamber, coralità sacra, tinte etno/gabrieliane, slanci mozzafiato), eppure, a causa del suo contrasto con i precedenti episodi, colpevole di far suonare tutto ancora più insipido, rendendo così manifesto uno spiacevole sperpero di potenziale. alt-J: è davvero tutto qui quello che sapete fare?
Recensione pubblicata su Storiadellamusica.it
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta e dimmi la tua. Grazie!