Sessantacinque-Sessantanove: il meglio dei Sixties, secondo me.

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La classifica dei 200 migliori album degli anni Sessanta pubblicata da Pitchfork è piuttosto controversa: da diversi anni la storica webzine sembra lanciata in un dubbio tentativo di riscrittura della storia pop in chiave black, operazione certamente lecita ma incapace di coinvolgermi e convincermi fino in fondo.

Ci possono essere centinaia di storie della musica, questo è il fatto. Perciò ho deciso di fare un personalissimo e innocuo tentativo: quali sono i dischi che, per me, rappresentano al meglio gli anni Sessanta?

Procederò in questo modo: toglierò dal mucchio il jazz (lo conosco troppo poco e non mi è mai piaciuto accostarlo al pop), partirò dalla seconda metà del decennio (che continuo a trovare di gran lunga più significativa e ricca: è a partire dal '65 che tutto cambia), cercherò infine di considerare qualche artista appartenente a scene diverse da quella britannica o statunitense (ma senza esagerare, la cosa richiederebbe un capitolo a parte).

▶ Ed ecco qui, il meglio degli anni Sessanta in 50 dischi secondo me.

jefferson airplane surrealistic pillow
1) Jefferson Airplane - Surrealistic Pillow (1967)
Se si vuole il nome della band che meglio incarna lo spirito comunitario dei Sixties, quel nome non può essere che Jefferson Airplane. E se si dovesse citare un disco capace di far entrare al meglio l'ascoltatore contemporaneo in quello spirito non si potrebbe che citare "Surrealistic Pillow", meno sperimentale del successivo "After Bathing at Baxter's" ma proprio per questo, forse, maggiormente adatto per catturare lo spirito dei tempi. Tutto è magicamente perfetto e funziona in totale armonia, senza mai nessun elemento lasciato da solo a prendersi tutta la gloria: la voce potente della nuova arrivata Grace Slick (che regala alla band la bellissima "White Rabbit" e porta come dote dai Great Society l'inno "Somebody to Love"), i fraseggi delle chitarre di Kantner e Kaukonen (ora acidissime, ora delicate e melodiose), il tocco jazzy di Spencer Dryden, la scrittura delicatamente country di Marty Balin, il basso accigliato e rotondo di Casady... tutto perfetto. Un capolavoro senza tempo.

The Psychedelic Sounds of the 13th Floor Elevators
2) The 13th Floor Elevators - The Psychedelic Sounds of the 13th Floor Elevators (1966)
La band di Roky Erickson, dal Texas, è la benzina gettata sul fuoco del garage rock: l'incendio che ne segue durerà per diversi anni, continuando a illuminare, ispirare e affumicare ancora oggi musicisti di tutto il globo. Psichedelia dura e cruda, chitarre grezze, curiose trovate elettronico-casalinghe (il celebre electric jug), sguaiatezza vocale imperante e caustica. Grazie a brani indimenticabili come la radicale e oscura "Roller Coaster", la bombastica e fuzzosa "Reverberation", la satura e cupa matassa elettrica di "Kingdom of Heaven", il rock psichedelico americano ha fatto passi da gigante, liberando una considerevole dose di energia fino a prima rimasta compressa. Liberatorio, visionario e bellissimo.

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3) The Beatles - Revolver (1966)
Checché se ne dica i Beatles hanno fatto la differenza e, qualitativamente parlando, "Revolver" è un album impressionante, sia per il trattamento del suono che per soluzioni stilistiche che, per quanto nell'aria, pochi erano riusciti a formalizzare con tanta efficacia. In splendido equilibrio tra resa pop e ricerca sonora, i Beatles mettono a segno tanti colpi quanti sono i pezzi in scaletta, zigzagando tra pop barocco ("Eleanor Rigby"), psichedelia stralunata e soft ("I'm Only Sleeping", dove non mancano tocchi da maestro, come quel nastro in reverse che distorce un brano altrimenti pulitissimo), raga indiani di straordinario fascino ("Love You Too"), oltre al capolavoro di ingegneria sonora "Tomorrow Never Knows", ancora oggi intonso nella sua complessità e espressività.

pink floyd the piper at the gates of dawn 1967 album
4) Pink Floyd - The Piper at the Gates of Dawn (1967)
Altro gigante della psichedelia inglese, il primo lavoro dei Pink Floyd, band di giullari visionari, capaci di rivoluzionare il suono con un solo grande colpo da maestro. Stereofonia ad alta intensità, la prima "Astronomy Domine" è un continuo rimpallare suoni dal canale destro a quello sinistro, tra chitarre sferraglianti, eco, effetti espansi, rintocchi, rutilare di pelli, frammenti di voci perse nello spazio, il solito filastroccare english nebulizzato e rarefatto, annullato in maglie larghe di suoni ripensati, rimasticati, senza quasi più appigli terreni. Immaginarli all'UFO Club tra luci stroboscopiche e casse roboanti è una delle poche cose che mi fa pentire di essere nato ne 1987 e non, chessò, nel 1947, per potermi godere lo spettacolo da imberbe ventenne. A ribadire il concetto ci pensa la storica "Interstellar Overdrive", rabbiosa e convulsa, forse uno dei primi esempi di musica cosmica, per concludere il tutto con la sarabanda farsesca di "Bike". Incontrollato, sperimentale e coloratissimo, l'esordio della band di Barrett è soci è una perla ineguagliata.

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5) Velvet Underground - Velvet Underground & Nico (1967)
Gli anni Sessanta come li voleva Andy Warhol, fin dalla copertina. Il primo lavoro della band di Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e Maureen Tucker (più la fascinosa e magnetica Nico, attrice e cantante, musa di Warhol, lanciata nel mondo del pop dal disco in questione), è un must assoluto per capire il fermento di quegli anni. Artistico, borghese, sperimentale, visuale, feroce, controverso: un album capace di incarnare tanti volti, da quello erotico e psichedelico di "Venus in Furs" alla ballata suadente di "I'll Be Your Mirror", passando per il rock'n'roll urbano di "I'm Waiting for the Man" e il realismo allucinato di "Heroin", fino alle suite anarchiche e dissonanti di "The Black Angel's Death Song" e "European Son". Tra arte concettuale e proto-punk, il primo lavoro dei Velvet Underground ha aperto così tante porte che sarebbe impossibile elencarle in breve. Storia, arte e musica fuse assieme, per un gioiellino inossidabile.

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6) The Doors - The Doors (1967)
Il bello dei Doors - mito a parte - è che, pur essendo riconoscibili le componenti base del sound (blues, psichedelia, garage, beat), l'assemblaggio funziona come qualcosa di mai sentito. Nessuno, nel 1967, suonava come i Doors: il loro esordio rappresentava una storia a parte, forse grazie all'organetto di Manzarek, più legato alla tradizione classica che al pop, o alla chitarra di Krieger, arzigogolata, tecnica e precisa, per non parlare del vocalist Morrison, perso nelle sue fantasie cinematiche di poeta maledetto. Il suono, per dirla schiettamente, è bianco e aristocratico: del blues si mantiene giusto lo schema metrico, tutto il resto è al contempo selvaggio e ingentilito, sospeso in una dimensione separata, cristallizzata. Così tra una "Light My Fire" diventata nel tempo un (bellissimo) luogo comune e una "The End" altrettanto abusata, non si può che rimanere ogni volta affascinati dalle ballate lunari e allucinate di "The Crystal Ship" e "End of the Night", o dalle suadenti curve di "Twentieth Century Fox", o ancora dalla cavalcata "Take It As It Comes". Un lavoro senza tempo.

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7) Love - Forever Changes (1967)
Copertina più bella del decennio, su questo non si discute, ma non basta. Arthur Lee e i suoi Love, con questo disco, sfornano una delle più eleganti e saporite gemme pop di sempre. Tra arrangiamenti magniloquenti (c'è di tutto: echi morriconiani, musica da camera, sperimentazione psichedelica) e songwriting raffinatissimo, "Forever Changes" sprigiona tuttavia una leggerezza disarmante, scorrendo liscio come l'olio tra composizioni entusiasmanti del calibro di "A House Is Not a Motel", con quel solo fugace sul finale che supera in inventiva ed espressività ogni Jimi Hendrix del mondo, o la delicatissima "Andmoreagain", o ancora la bombastica cavalcata di "The Daily Planet", continuando senza soluzione di continuità con capolavori come "The Red Telephone" o "You Set the Scene". Negli anni Sessanta un gruppo poteva pubblicare un disco così a pochi mesi da un lavoro altrettanto stupefacente (il precedente "Da Capo"), riuscendo a non scalare le classifiche. Incredibile, vero?

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8) The Seeds - A Web of Sound (1966)
Uno dei dischi che non possono mancare nella collezione di qualsiasi amante di musica anni Sessanta. "A Web of Sound" è un lavoro curatissimo, tra i migliori rappresentanti -se non vero e proprio archetipo- della psichedelia californiana. Spire di suono colloso e ipnotico ("Pictures and Design"), pezzi interpretati meravigliosamente da un esagitato e proto-punk Sky Saxon (in "Tripmaker" inscena una rincorsa senza fiato mentre la batteria pare impazzita e la chitarra tira fuori una parte memorabile), ma anche grandi prove di eleganza (la splendida "A Faded Picture") e impressionanti tour de force ("Up in Her Room"). Prima dei Doors c'erano i The Seeds: difficile immaginarsi il decennio senza di loro.
 
9) Bob Dylan - Bringing It All Back Home (1965)
Bob Dylan non ha bisogno di presentazioni. Il suo "The Freewheelin'" è uno dei più bei dischi folk dei primi Sessanta, ma è con "Bringing It All Back Home" che nasce il moderno folk-rock: la celebre svolta elettrica è tutta qui, destinata a cambiare per sempre il volto della cultura pop. Il rock può essere d'autore, e gli autori possono imbracciare chitarre elettriche e pompare il volume senza passare per ragazzini punk perditempo. Pezzi slanciati e scattanti come "Outlaw Blues", "Maggie's Farm", "Subterranean Homesick Blues" abbracciano poesia beat, blues, folk, tradizione americana e novità d'oltreoceano, rimpastando tutto in un nuovo, stupefacente, linguaggio. Senza le ballate, però, questo disco non sarebbe stato il gigante che è: "She Belongs to Me", "Love Minus Zero", "Mr. Tambourine Man", "It's All Over Now, Baby Blue", sono scolpite nella storia, eleganti e innovative, eppure in qualche modo spigolose e sguaiate, non cristallizzate in schemi precostituiti. Un capolavoro impossibile da non citare in una top ten che si rispetti.

10) Fairport Convention - Liege & Lief (1969)
A chiudere il decennio, nel dicembre '69, i Fairport Convention, super gruppo londinese nelle cui fila militavano Richard Thompson, Sandy Denny, Dave Mattacks e Dave Swarbrick, rispettivamente chitarra, voce, percussioni e violino del gruppo più tradizionalista e al contempo avanzato dell'Inghilterra di fine decennio. Folk-rock lirico e vibrante, british e pastorale fin nel midollo, riccamente rifinito dalle partiture di violino e dalla chitarra febbrile di Thompson, "Liege & Lief" potrebbe benissimo montare nell'olimpo del rock per la sola, stupefacente, "Matty Groves", le cui singole parti potrebbero essere ascoltate ciascuna in isolamento, traendo uguale piacere che dall'effetto d'insieme, partendo dal beat ossessivo di Mattacks fino alle graffianti chitarre di Thompson, senza dimenticare il violino spettrale che aleggia sullo sfondo. Ogni brano, però, è ugualmente indimenticabile: la ballata vocale di "Reynardine", l'inno anti-militarista di "The Deserter", il medley strumentale "The Lark in the Morning / Rakish Paddy / Fox-Hunter's Jig / Toss the Feathers"... Un album emozionante, da avere assolutamente.

▶ E qui ci sono gli altri 40.

11) The Kinks - The Kinks Are the Village Green Preservation Society (1968)
12) The Rolling Stones - Their Satanic Majesties Request (1967)
13) The Millenium - Begin (1968)
14) Kaleidoscope - Tangerine Dream (1967)
15) Pearls Before Swine - Balaklava (1968)
16) The Free Design - Kites Are Fun (1967)
17) Caetano Veloso - Caetano Veloso (1968)
18) Gal Costa - Gal Costa (1969)
19) The Byrds - Younger Than Yesterday (1967)
20) Isaac Hayes - Hot Buttered Soul (1969)

21) The Band - Music from Big Pink (1968)
22) Captain Beefheart & His Magic Band - Trout Mask Replica (1969)
23) Gilberto Gil - Gilberto Gil (1968)
24) Fifty Foot Hose - Cauldron (1967)
25) Neil Young - Everybody Knows This Is Nowhere (1969)
26) The Incredible String Band - The Hangman's Beautiful Daughter (1968)
27) The Left Banke - Walk Away Renée / Pretty Ballerina (1967)
28) The United States of America - The United States of America(1968)
29) King Crimson - In the Court of the Crimson King (1969)
30) The Beach Boys - Pet Sounds (1966)
31) Scott Walker - Scott 4 (1969)
32) Tim Buckley- Happy Sad (1969)
33) Burt Bacharach - Burt Bacharach Plays His Hits (1966)
34) The Pentangle - Basket of Light (1969)
35) The Ronettes - Presenting the Fabulous Ronettes Featuring Veronica (1964)
36) Blue Cheer - Vincebus Eruptum (1968)
37) Leonard Cohen - Songs of Leonard Cohen (1967)
38) The Deviants - Ptoof! (1967)
39) The Pretty Things - S.F. Sorrow (1968)
40) The Mothers of Invention - Freak Out! (1966)

41) Aretha Franklin - I Never Loved a Man the Way I Love You
42) The Red Crayola - The Parable of Arable Land (1967)
43) Nina Simone - Pastel Blues (1965)
44) Silver Apples - Silver Apples (1968)
45) Monks - Black Monk Time (1966)
46) Sagittarius - Present Tense (1968)
47) Eternity's Children - Eternity's Children (1968)
48) Bert Jansch - Bert Jansch (1965)
49) The Stooges - The Stooges (1969) 
50) Os Mutantes - Os Mutantes (1968)

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