Cinque dischi d'aprile


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Un anno un po' spento musicalmente? No, per niente. Chiunque dica questo, di solito, non ha semplicemente avuto tempo di seguire il fottio di uscite che, ogni mese, affollano il mercato musicale.
La verità è che star dietro a tutto è una vera impresa, e la ricettività dipende da mille fattori contingenti (l'umore, gli impegni vari, ecc.). Per questo ogni tanto occorre fare ordine, passare in rassegna quanto ascoltato e aggiornare l'elenco con nuovi album trascurati o apparsi all'improvviso. 
 È stato così con marzo, che ha tirato fuori dal cappello il bellissimo lavoro degli Hurray for the Riff Raff, con febbraio, da cui ho recuperato il notevole "Ensen" della tunisina Emel Mathlouthi, e così sarà con aprile, che sicuramente dispenserà ancora gemme nascoste.
Intanto, però, facciamo il punto di quanto, ad oggi, ho potuto apprezzare. Ecco una breve rassegna dei cinque album che più mi hanno coinvolto in questo aprile 2017.

Blaenavon - "That's Your Lot" (Transgressive)

L'esordio del trio inglese è una piccola e gradita sorpresa. Riuscendo a far leva su un effetto nostalgia di brevissimo periodo (i richiami sono alle correnti indie di appena una manciata di anni fa), i Blaenavon riescono, di fatto, a concentrare in dodici brani il succo di una stagione ormai passata, trovando però il modo di rivitalizzare il tutto. "That's Your Lot" è jangle pop umidiccio, indie rock melodico alla maniera di Maccabees e Local Natives (sul cui modello hanno fatto fortuna band come i Bastille), con un pizzico di umori Morriseyiani. Quando i nostri figli ci chiederanno (speriamo che ce lo chiedano) come suonava il pop negli anni zero, noi potremo benissimo far partire questo disco e dire "così".



Mew - "Visuals" (Hostess)

Ogni disco dei danesi Mew è da prendere almeno in considerazione. "Visuals", settimo lavoro in vent'anni di carriera, attesta la buona saluta della band, mettendo in scena la solita mirabolante mistura di art-pop progressivo e caleidoscopico, saturo di influenze (elettronica, dream pop, r'n'b, chitarroni), come al solito sul crinale della proposta cervellotica e del variopinto sfoggio melodico. Non si può che rimanere affascinati dall'ascolto, anche questa volta.




Timber Timbre - "Sincerely, Future Pollution" (City Slang)

Da Taylor Kirk non si sa mai cosa aspettarsi, fatta eccezione per le solite tinte "noir" che invischiano i brani. Questa volta, però, Kirk e soci danno alle loro composizioni una veste minimal e sci-fi dall'andamento cupo e lynchiano, oscillando tra inserti funk (la bellissima "Grifting"), synth e industrial/wave (la coda di "Moment", o la fascinosa title track, che ricorda anche la meteora Dirty Beaches). Un lavoro complesso e per niente scontato, capace di allargare sensibilmente gli orizzonti della band.



White Reaper - "The World's Best American Band" (Polyvinyl)

Da Louisville, i White Reaper fanno rock'n'roll diretto e potente, affibbiando al loro secondo album un titolo tanto arrogante quanto intriso di un'ironia che ha molto a che fare con il sound stesso della band. Power pop e garage punk, tra scazzo slacker e solenne attitudine rock, oscillante quindi tra nonscialanza devota al puro divertimento e un'impegnata convinzione. Il risultato è un album divertentissimo, che scorre liscio come l'olio facendo riferimento a stagioni più o meno dimenticate del pop contemporaneo (penso a certo Aor per anni disprezzato, ma anche al power pop anni Settanta-Ottanta). Da provare.



Yasmine Hamdan - "Al Jamilat" (Crammed)

Di Medio Oriente si parla molto, di artisti mediorientali quasi mai: sarebbe bene iniziare. La libanese Hamdan (nota in Occidente per la sua presenza in "Only Lovers Left Alive" di Jim Jarmusch), da' al suo arabic pop una conturbante veste electro e trip-hop, lavorando a un piacevole gioco di ibridazioni tra elementi acustici e da camera e strati di elettronica fluttuante, di consistenza ora ambient ("K2") ora compatta e ritmata ("Choubi", dove pare di sentire la versione araba dei Cocteau Twins). La qualità dell'esperimento è notevole, come notevoli sono brani come i conclusivi "La Chay" e "Ta3ala". Il consiglio è di darle una chance.


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