La varietà di accostamenti e di stili è tanta: basti una prima metà dell’album che sfoggia brani ciondolanti e spensierati come la prima “Can’t Get Enough of Myself” (arrangiamenti sunshine pop anni Sessanta, piglio brioso e uptempo, reminiscenze ska alla No Doubt), o la mirabolante “Banshee”, vero e proprio baraccone sonoro, vortice di torpori dancehall frutto dell’ipotetico incontro tra Rihanna e la psichedelia pasticciata degli Animal Collective , o ancora “Cashing Shadows”, che sembra spartire la stessa naïveté indie dei Vampire Weekend di “Modern Vampires of the City” (esempio non a caso: tra i vari produttori coinvolti nella realizzazione dell’album fa capolino anche Rostam Batmanglij). L’intento di Santigold, però, non è quello della semplice citazione, quanto di una fertile appropriazione, di un tuffo di testa in una contemporaneità centrifugata, riletta in senso modernista e sottilmente provocatorio (ancora la copertina come dichiarazione d’intenti, o se non altro come segno di alleggerimento, di distensione): bastino da esempio “Rendezvous Girl”, raffinatissimo incalzare di scintillante synthpop alla Chairlift, o la flemmatica e reggae “All I Got”, entrambe colme di gustose intuizioni melodiche e ammiccanti giochi di “già sentito”.
Altrettanto interessante il lato in ombra dell’album: “Big Boss Time Business”, che cova quel wobble sedizioso per tutto il brano (un brano ripetitivo, ossessivo, dalle linee di synth agli accordi di chitarra), “Walking in A Circle”, sibilante meccanismo di trap music compressa, di minaccioso synth-r’n’b industriale (alla maniera di FKA Twigs, sì), “Who Be Lovin’ Me”, molle e decadente caramellina masticata assieme al rapper iLoveMakonnen, o ancora l’elegante ballatona electro “Run the Race”.
“Genre-less without losing cohesion”, Consequence of Sound l’ha detto meglio di me. “99¢” è una scorribanda confusionaria ma non confusa, anzi, frutto di un’unica visione (seppur frammentaria, condivisa assieme a diversi produttori), di un preciso metodo e di una sgargiante Santi White in fase di riscoperta pop. “I had decided going into the record that I wanted to have a fun experience making it, because I’ve seen it not be fun for myself and I didn’t want to do it like that anymore…There’s so many different kinds of songs that could be pop songs, I don’t think pop songs should sound the same… I like when pop is still good music, that’s what I like”.
Ecco, appunto: Santigold l’ha detto meglio di me.
Tratto da: http://www.storiadellamusica.it/indie_pop/art_pop/santigold-99(atlantic_records-2016).html
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