“Devo cercami una religione”.
“E perché? Che te ne fai di una religione?”.
“Non so... Forse mi aiuterebbe a vivere meglio. Dicono che credere in qualcosa dia più motivazione”.
“Motivazione in cosa?”.
“Ad esempio... Non saprei. Forse nella sopportazione. E comunque almeno la religione è gratis”.
“Non è vero! La quota mensile alla parrocchia o alla moschea o alla sinagoga di distretto dove la metti?”.
“Va bene! Hai vinto! Allora devo cercarmi un Dio, occhei?”.
“Rimane il fatto che non capisco a cosa ti serva un Dio”.
“...È gratis. L'unica cosa gratis rimasta al mondo. E le cose gratis, di solito, sono le cose più belle”.
“E allora trovati una religione, Julie. Però io ora mi metto a dormire, sono stanco”.
Anche Julie era stanca, ma non aveva sonno. Quel pensiero della religione l'aveva tormentata tutto il giorno. O forse era qualcos'altro? A dire il vero la scorta dell'aria condominiale la preoccupava altrettanto. Certo, mancavano solo pochi giorni alla fine del mese e con la ricarica automatica non ci sarebbero stati problemi. Tuttavia l’idea di rimanere senz'aria l'aveva sempre terrorizzata. Si addormentò con un senso di affanno che pareva un preludio a quella minaccia.
“Sta per scadere la scorta dell'aria”, disse l’indomani preparando la colazione.
“Già”, rispose Laurent masticando un panino all'uvetta che l'amministratore forniva ai condomini scalando il modesto importo ogni trimestre dalle spese condominiali, “ma tanto tra poco aprile finisce e scatta il rinnovo. Avremo ancora una buona dose di aria fresca il 30”.
“Lo so Laurent, ma non sono mai riuscita ad abituarmi all'idea di dover pagare l'aria”.
Julie stava già controllando il contatore d'ossigeno per assicurarsi che i livelli fossero normali. Erano normali: le tacche che monitoravano i flussi andavano lievemente su e poi giù, su e poi giù, in un dolce movimento oscillatorio di ossigeno e anidride carbonica. “I contatori sono normali, vanno su e giù come sempre...”. Già che c'era schiacciò il tasto per disattivare le fotocellule che regolavano l'illuminazione dell'appartamento. Faceva giorno e sarebbe stata una giornata di sole, non ci sarebbe stato bisogno di sprecare energia inutilmente.
Bene per l'aria, pensava Julie, ma erano rimasti pochi spiccioli per tutto il resto. Bastavano giusto per non andare in rosso con l'arrivo di maggio. Per assicurarsi da mangiare, per le corse del trasporto collettivo, per la mensa a lavoro. E per qualche preservativo, ovviamente: quelli costavano pochissimo ed erano assegnati in gran quantità ai cittadini. Un figlio? Un figlio comportava una penale del 5% sul reddito per i primi cinque anni di vita del moccioso. D'altronde si doveva pur compensare la maggiore pressione sull'ambiente sociale di ogni nuova vita frignante. Più aria, più spazio, più cose in generale. E tutto aveva un prezzo.
“Tutto ha un prezzo”, disse Julie.
“Tutto ha un prezzo, Julie”, rispose Laurent scimmiottando l'atteggiamento drammatico della compagna.
“Scemo”.
“Scema”.
Julie si avvicinò a Laurent che sorrideva. Era particolarmente allegro, quel giorno. Lei gli tirò un buffetto sulla guancia. Lui la strinse e le baciò la pancia. La calma invase Julie tutto d’un tratto, come solo sapeva fare l’aria semi-tossica dell’atmosfera. Fecero l'amore e si lavarono assieme nella doccia, non semplicemente per ridurre lo spreco d'acqua. Laurent uscì dall'appartamento del terzo piano giusto in tempo per non perdere il trasporto collettivo delle otto meno un quarto. Julie avrebbe dovuto passare il giorno a fare i conti, quel mese toccava a lei. Prese il registro della contabilità domestica -cheppalle, odio fare i conti- e le ricevute delle varie spese: quelle del supermercato, quelle dell'acqua calda, quelle dei rifiuti, quella delle scorte di ossigeno, quella del dentista e delle spese sanitarie extra (che sarebbero state saldate più in là, a meno di riuscire a compensare risparmiando su altre voci). Tutto doveva fare più o uguale a zero. Se si andava sotto le possibilità erano o lavorare di più o rinunciare a qualcosa e -va da sé- le cose a cui rinunciare, per un reddito medio basso come quello di Laurent e Julie, erano ben poche.
Non posso fermare il diluvio. A questo pensava Julie mentre girava le pagine del quadernone ad anelli, “non posso fermare il diluvio”. E un po' questo pensiero centrava sia con la religione, sia con la storia della mancanza d’ossigeno. Fuori il clima si stava già surriscaldando, e piccoli rivoli di atmosfera vibravano increspando l’aria. Quand’era piccola si ricordava che tutto era diverso: poteva vivere senza sentirsi costantemente un peso, senza preoccuparsi dei consumi di spazio, di materia, di tempo. Lo spostamento verso l’entroterra le aveva garantito una bella infanzia in campagna. Si ricordava il vento, il fruscio dell’erba e delle foglie sugli alberi, la voce di sua nonna e il fiume vicino al bosco dove pucciare i piedi quando la calura estiva premeva sulle tempie. Poi c’era stata la città, e lei aveva smesso di essere una parte di tutto diventando una sorta di parassita invasore, un tarlo nocivo incistato su un ecosistema distrutto ma pur sempre frenetico. Non poteva fermare il diluvio perché ci viveva, nel diluvio, e con lei tante altre innumerevoli persone che avevano imparato a fondare la propria esistenza sui ritmi di quel precipitare continuo degli eventi. L’amministrazione della catastrofe sembrava riuscire bene a quel popolo di affittuari, un popolo ordinato, meticoloso, risoluto nel perseverare, nel succhiare dalla mammella di quella crosta terrestre fino a quando ci sarebbe stato qualcosa da spremere. Cos’altro dovevano fare? Rinunciare a tutto? Abbandonare la propria umanità? Certo che no. Per questo sentiva che forse una religione poteva fare al caso suo, perché con la religione i conti sono rimandati, pensava, e i termini della sommatoria, finché si sta di qua e non di là, si possono estendere arbitrariamente, senza dover arrivare per forza al rigo della soluzione. La religione fermava il diluvio? Julie non lo sapeva, ma forse faceva dimenticare di vivere come sotto assedio. Poteva aprire spazi? Non sapeva neanche quello ma forse poteva essere così. Poteva allargare la mente. Una frase fatta che però la stimolava: allargare la mente in un mondo senza spazio, incredibile!
C’erano però da far quadrare i conti, questo era certo. Iniziò dalle cose semplici: l’abbonamento del trasporto, le scorte d’ossigeno e di gas per la cucina, la quota di fotovoltaico del proprio appartamento in ingresso e quella in uscita, l’ammortamento degli elettrodomestici. Tutte voci più o meno stabili, perlopiù regolate dai livellatori automatici installati in ogni abitazione. Bastava dare un occhio ogni giorno al monitor in soggiorno per capire se si era sforato e, così, provare a compensare tagliando un po' qua e un po' là. Più complicate erano le spese contingenti: iniziò a fare il conto degli scontrini, sommando tutto quanto: il cibo, la biancheria nuova, la produzione di rifiuti stornato della media di riciclaggio pro capite mensile, la quota della lavanderia condominiale a gettoni-elettricità (una voce a parte rispetto al consumo elettrico, dal momento che l’uso delle lavatrici era quantomai irregolare e comprendeva anche la quantità di detersivo, il tempo di lavaggio e la quantità d’acqua), eccetera. Julie si perdeva sempre in tutti quei fogli e foglietti, in quei più e in quei meno, in quell’ossessivo contabilizzare la propria presenza terrena. Si mise a guardare fuori dalla finestra: un aereo volava lasciando una scia tremola, i pannelli solari brillavano sui tetti infuocati, le stazioni meteorologiche con i loro rilevatori e le loro antenne si stagliavano come tante escrescenze metalliche.
Le spese extra era meglio tenerle alla fine: manutenzioni, medicine, cure, svago. Tutte cose che si potevano azzerare nel caso in cui la propria pressione sull’ecosistema non fosse stata eccessiva. Se i beni superflui consumati erano troppi era comunque possibile rimandare al mese successivo, a quello dopo, e via così. A fine anno le perdite sarebbero comunque rientrate (oltre all’extra lavoro e alla minore assegnazione di buoni-denaro si poteva scegliere l’impegno attivo in qualche attività ecologicamente compatibile). Nel peggiore dei casi (cioè grosse evasioni eco-fiscali, trucchi di bilancio o crimini di vario genere), si rischiava l’ibernazione per il tempo ritenuto necessario a rimettere in pari il proprio debito con la Terra.
I conti, però, non tornavano. Sono stata distratta, pensò Julie sfogliando a ritroso i paginoni del registro. Ricominciamo. Fuori l’aria diventava sempre più calda e l’atmosfera densa si colorava di tinte giallo-spente. Anche dentro l’appartamento si sudava. Niente climatizzatore però: ce ne sarebbe stato bisogno tra un mese, meglio svestirsi e risparmiare. Era strano. Non avevano cambiato di molto le abitudini, quel mese. Eppure qualcosa non funzionava. Dal medico Julie c’era andata solo per lo screening trimestrale accessorio per la fertilità e i tumori (la radioattività era altina, meglio essere previdenti), mentre non le pareva che Laurent avesse avuto bisogno di visite a parte quella dal dentista (ma si può dover curare una carie a trentasei anni dico io?). Non avevano ecceduto in chissà quali svaghi e di preservativi ne avevano usati pochini, a dir la verità. Una perdita nelle tubature? Andò al monitor e scorse tutta la memoria mensile. Niente. L’aria? Neanche a parlarne, e poi in caso di perdite sarebbe scattato l’allarme. Cosa poteva essere? Il negativo era piuttosto consistente e il continuo controllare cifre e scontrini mandava sempre più in confusione Julie. Si ritrovò a non capirci più niente, era solo sicura che i conti non erano in equilibrio. Sapeva anche che non aveva nessuna voglia di fare altri sacrifici proprio quando il clima si apprestava a diventare sempre più ostile. Era sconfortata e furiosa con Laurent e con se stessa, le veniva da piangere. La sua vita pareva un continuo sperpero di risorse, un continuo vivere con il contagocce. Non si ricordava l’ultima cena al ristorante, per non parlare dell’ultima volta in cui lei e Laurent erano andati al cinema, o alla sala da ballo, o a giocare a bowling.
Non poteva continuare così, voleva quantomeno un giugno tranquillo, senza ansie, senza sacrifici. Voleva sentirsi in pace con quel mondo depredato, senza debiti nei suoi confronti. D’un tratto le venne in mente di quella volta che, qualche piano più sotto, era saltato l’impianto di ossigenazione. Praticamente il risparmio dovuto alla minore erogazione di ossigeno aveva permesso di compensare quasi del tutto le spese di manutenzione. Certo, i tizi che abitavano lì dentro erano finiti in camera iperbarica d’urgenza, salvati per un soffio. Il punto però era che l’ossigeno era caro. Julie si diresse verso il monitor e si portò sulla schermata dei flussi d’aria. Entrò nell’area personale, sbloccò il sistema e premette “interrompi erogazione”. Inserì la password speciale e confermò. L’ossigeno non veniva più generato, si iniziava a risparmiare.
L’atmosfera si fece subito pesante e Julie cominciò a boccheggiare. Ci sarebbe voluto un po' prima che l’appartamento perdesse quasi del tutto l’ossigeno, ma conveniva in ogni caso rilassarsi e respirare piano. Magari stendersi sul divano e chiudere gli occhi. Riempire lentamente i polmoni ed espirare con un timidissimo sibilo, poi aspettare un po'. Presto il giochino smise di essere sostenibile e Julie si trovo avidamente in cerca d’aria. Era troppo stanca per alzarsi, sul divano non si stava male e sentiva una leggerezza confortante. La mente sembrava liberarsi dalle preoccupazioni. Non ci è voluta nemmeno una religione, visto?, pensò ridacchiando.
Quando si risvegliò fuori era già buio. Guardò l’ora. Cazzo! Laurent torna tra poco! Fece per alzarsi ma le cedettero le gambe. Aveva la mente annebbiata, la bocca impastata e uno sgradevole senso di nausea. Riuscì a mettersi in piedi e si avviò al pannello di controllo strisciando contro il muro. “Riattivare erogazione”.
Un segnale acustico, un soffio, e subito l’ossigeno tornò a colmare gli spazi. Julie andò ad accasciarsi su una sedia respirando a pieni polmoni. Doveva riprendersi per non far insospettire Laurent. Si rese subito conto che il risparmio ottenuto non era bastato nemmeno per coprire l’anomalo buco di bilancio, di cui continuava a non spiegarsi l’origine.
Laurent entrò in casa puntuale. Aprì la porta con un sorriso sornione, subito spento al primo respiro. “Che strana aria viziata che c’è qui dentro… E tu che faccia hai Julie? Sei pallida... stai bene?”.
Lei gli raccontò che c’era stato un piccolo guasto al condizionatore e che era un po' stanca, forse aveva un po' di febbre, sicuramente aveva mal di testa e certamente sarebbe andata a letto presto. Era indispettita, Julie, perché era certa di non aver fatto nessun errore nei conti, quindi doveva essere Laurent il colpevole del negativo.
“Fatti i conti, Julie?”, le chiese Laurent dopo essersi fatto una doccia lampo (due in una giornata? Che lusso!).
“Un’altra doccia? Che sprecone che sei… Sì comunque, i conti li ho fatti”.
“Bene. E quindi? Tutto a posto?”. Lo aveva chiesto con una manifesta faccia tosta. Che stava architettando?
“In verità...”, fece Julie, ma prima di continuare si accorse che Laurent le stava mostrando due foglietti azzurri, sventolandoli per aria.
“… cosa sono quelli?”.
“Julie, non ci concediamo uno svago da tanto tempo. Ti ricordi l’ultima volta che siamo andati al cinema? Io no”.
Non poteva essere. Quei due foglietti potevano significare una cosa sola. A Julie venne quasi da piangere.
“Ce ne andiamo in vacanza, Julie!”.
Lei lo strinse forte e, svanito tutto l’astio e il sospetto, si sentì una scema.
“Come hai fatto ad averli? Dove hai trovato i soldi? Sei sicuro che possiamo? Che bello Laurent, mi viene da piangere! Ma sei sicuro che ci stiamo dentro? Non è troppo? Che bello Laurent... grazie... che bello!”.
“È cinque anni che ci teniamo a stecchetto, Julie. È cinque anni che ogni tanto strappo qualche straordinario ad aria dimezzata, la sera. Ho evitato qualche piccolo lusso ed ecco qua. Questi ci sono dovuti. Certo, ho dovuto comunque pagare qualcosa in più perché i conti non tornavano. Ma dovremmo essere a posto con il bilancio. O forse sforiamo, ma di poco, no? Sapevo che non ti saresti accorta di nulla questo pomeriggio!”.
“Sì… in effetti… che bravo...”, rispose Julie. Laurent non era mai stato tanto bravo con i conti.
Quella notte Julie e Laurent dormirono stretti stretti. Usarono ancora un paio di preservativi. Julie era elettrizzata. Sentiva di meritarsela quella vacanza. Il mondo le era meno ostile adesso, e le sembrava di essere alla pari. Non più un parassita, ecco. I conti, poi, erano in regola. Una vacanza! Certo, aveva ancora un po' di mal di testa. Ma con quella storia dell’ossigeno, forse, avrebbero anche potuto uscire la sera, una volta tornati. Sarebbe andata a ballare, ecco. Una vacanza! Da non crederci. Si addormentò quasi felice.
“Però un giorno mi trovo anche una religione. Deciso”.
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