Aveva fatto un caldo infernale,
quell'agosto, un caldo reso ancora più insopportabile dall'obbligo
di restare in città. Un obbligo, a dire il vero, del tutto
facoltativo. Il fatto è che la città svela la sua vera anima solo
ai pochi capaci di affrontarla quando fa più paura: quando la
canicola è opprimente e le strade scottano. Bisogna però
abbandonarcisi, lasciarsi guidare dai suoi molli ritmi, accettando le
condizioni del mezzogiorno -rintanarsi placidi, annullarsi nell'afa-
e della mezzanotte -questo il momento di cercare i frutti delle vie
stemperate e nude dopo la furia del solleone.
Quella sera però le cose sarebbero
andate diversamente: io, un amico e un altro individuo, accompagnato
dalla sua giovane, bella e nuova fiamma, in un locale affollato e
costoso del centro.
“Perché gli hai detto di uscire,
perdio?!”, era la
domanda che avevo iniziato a fare a Pepo.
“Dai che si beve una birra,
ecchecazzo, si dicono due cagate ed è fatta”
“....”
“E poi mica devi dargli per forza
corda, no? Ci manteniamo sul superficiale... E tu non tirare fuori la
storia dell'altra volta!”
“Quale storia? Quella del fatto
che le persone che hanno un briciolo di intelligenza non hanno come
massima ambizione quella di passare due ore al giorno in palestra e
un fottuto pomeriggio ogni sabato dall'estetista?”
“Bravo. Però mi riferivo a
quell'altra... Quella sui corsi di studio e sulla mobilità sociale,
sai, quelle cose lì. Lascia perdere.”
“Maccristo di che vuoi parlare
allora? Di musica? Ma quello non sa nemmeno cosa sia la musica. Del
più e del meno? Ma di che vuoi parlare con quello, dai... E poi
quella questione della mobilità era importante, su'!”
“Era importante perché tu l'hai
presa sul personale. Non è che se uno dice che gli studenti d'arte
sono dei fancazzisti buoni solo a fumarsi spinelli tu te la devi
prendere.”
“Si ma io ho studiato arte,
perdio, a chi volevi che si riferisse?”
“Ma non lo sapeva... Però anche
tu, metterti a fare l'elogio di quel tuo amico che nonostante sia in
facoltà da dieci anni crea quelle cose... cos'erano...?”
“Le madonne. Le fa nude,
serigrafate, poi le da' tutto quell'effetto di bruciato che sembra
che ci sia caduto sopra un mozzicone...”
“Ma non lo fa proprio con i
mozziconi?”
“Si, si lo fa con le cicche,
quando le deve spegnere. Però ha un senso la cosa.”
“Si vabbè... Comunque cazzo
potevi parlargli di Giotto e invece gli vai a parlare del Gigio che
si è fottuto il cervello. Le madonne con le bruciature di sigarette,
maddai... Che lui è pure cattolico...”
“Ecco appunto...”
“No eh, questo tasto non lo
toccare ché la religione è una roba personale...”
“Non è una roba personale se
diventa il tuo modo di rompere il cazzo agli altri. Comunque dai,
prendo la doppio malto che quella pesa e mi fa pensare ad altro.”
“Bravo. Quella che costa quattro
euro? La prendo pure io.”
Il locale era già pieno. Le persone
erano sedute ai tavolini del déhor con la loro aria forzatamente
disinvolta. Pochi chiacchieravano. In piedi all'uscita c'era il
Grigio, chiamato così per via di una brizzolatura precoce che però
gli dava tanto fascino. Con lui, la sua ragazza. Parevano annoiati,
si guardavano attorno con vacuità. Lei era impegnata a scrivere
qualcosa a qualcuno sul cellulare. Appena i due ci hanno visti, i
loro volti si sono rianimati. “Ciao bello! Allora, quanto tempo?
Come va? Madonna, ti ho visto che eri alto così! E 'sta barba? La
tagli o no, che sembri un comunista?”. I simpatici saluti del
Grigio al mio amico erano accolti dalle sue risposte sincere ma
intimidite. La tipa continuava a digitare i tasti sul cellulare.
“Ma ci sei anche tu? L'artista!
Eh... come andiamo, Picasso?”.
Questa era rivolta a me. Non sapevo se
stesse prendendomi in giro o cosa. Pepo mi ha lanciato un'occhiata
più che esplicita, così ho lasciato perdere. “Bene bene, ma
darmi del Picasso è troppo, dai. Tu invece? Sempre in palestra? Si
vede, vorrai mica diventare Schwarzenegger, no?”.
Si,
ero stato sufficientemente amichevole. Sembravamo due amiconi.
“Eeeh magari!”,
mi ha risposto lui.
Per
la miseria, anche io avrei voluto diventare Picasso, ma mica l'avevo
ammesso. E in più io stavo facendo dell'ironia! “La
modestia è una virtù rara”,
mi son detto, mentre guardavo stupefatto il tipo, che nel frattempo
si era messo a scambiare qualche battuta con il nostro comune amico.
In tutto questo la ragazza del Grigio rimaneva impassibile e
annoiata. Fino a quando non sono scattate le presentazioni. Lei si
chiamava “Robberta”. Studiava qualcosa da qualche parte ma si
occupava anche di qualcos'altro, altrove.
“Troviamoci un
tavolino, che dite? Fuori o dentro? Fuori dai, che fa caldo”.
Alla proposta del Grigio ci siamo diretti verso uno dei pochi posti
liberi rimasti. Si iniziava.
Su
una cosa tutti eravamo d'accordo, o quasi tutti, dal momento che
Roberta preferiva un long drink: volevamo una birra. Questo ci
accomunò per un istante, quando all'arrivo delle bevande fresche e
frizzanti tutti quanti ci augurammo una buona salute reciproca
facendo vibrare i bicchieri nel gesto del brindisi, per poi
sorseggiare il primo strato, schiumoso, traendone uguale piacere.
Le danze stavano aprendosi con i consueti convenevoli. Cosa fai, cosa non fai. Io ero distratto. Quella sera una vena di irritazione mi faceva mal digerire tutta quella gente e tutto quel brusio. La concentrazione di facce ignote su cui potevo solo fare congetture antipatiche era eccessiva. Avevo solo voglia di tornare a casa, non sarei mai dovuto uscire.
“Su forza, che è quella faccia?”,
mi ha detto ad un certo punto il Grigio.
Sorpreso da quello smascheramento e
sforzandomi di essere simpatico mi sono giustificato con qualche
frase banale: “no niente, sono stanco, che
giornataccia...”.
“Ah si? Giornata pesante? Che hai
fatto? Dipinto la nuova Gioconda?”.
La nuova Gioconda. Come se tutti gli
artisti dovessero essere messi a confronto con quell'unico
maledettamente noto dipinto. C'era tantissima approssimazione e molta
ignoranza in quella domanda: l'Arte non è solo la Gioconda,
coglione! E poi, forse, c'era anche un filo di perfidia, dal momento
che era noto a tutti come, evidentemente, non fossi minimamente
capace di fronteggiare un da Vinci. Insomma, era chiaro: non avevo
passato la giornata ad arrovellarmi su un capolavoro mondiale. A dire
la verità non avevo fatto un cazzo, durante quella giornata. Chissà
cosa aveva fatto lui, che pareva così fresco, riposato e prestante.
“Sta scherzando, vuole creare empatia, vuole essere simpatico.
Forza, abbi pazienza”, ho pensato tra me.
“Non ho fatto un granché... ho
pensato, sapete... c'è chi può...”.
Ok, avevo detto una cosa stronza e
senza senso. Mi era quasi sfuggita. Roberta per un attimo si è
alzata dal suo Bellini guardandomi vagamente stupita, cercando di
capire se si fosse persa un pezzo o se effettivamente avessi dato una
risposta di merda. Mi sarei preso a pugni da solo. Il mio amico ha
scosso la testa, mentre il Grigio, mantenendo quel suo sorrisetto
supponente sorretto dal mento pronunciato, non ha mollato la presa.
Era seriamente deciso a starmi addosso, a torturarmi con quella sua
ostentata capacità di destreggiarsi e sentirsi a suo agio in
quell'ambiente di mondanità distratta. A fare questo molto meglio di
me, il “pensatore”.
“Eh si, sappiamo sappiamo, dotto'.
Pensare, tutti dovrebbero pensare di più, vero? Siamo tutti lì a
fare, fare, fare, e magari ci dimentichiamo che cazzo stiamo facendo,
a forza di farlo. Fai bene a pensare. In fondo però siam tutti un pò
filosofi, verò Robbe'?”. Lei, alzandosi dal biberone, ha
risposto con un sorriso complice, per poi tornare apparentemente
assorta, seppur con l'orecchio teso. Quel riferimento a qualcosa che
i due si dovevano essere detti prima, quell'intesa, era del tutto a
sproposito in un discorso che più generico di così non si poteva.
“Si hai ragione, pensare... è
importante”, ho risposto. Era chiaro che non volessi sostenere
una discussione sui massimi sistemi, non su quelle basi perlomeno.
Stavo comportandomi da maleducato, iniziava a montare in me
un'irritazione che difficilmente riuscivo a contenere nei gesti,
nelle parole, nelle espressioni facciali. “Ma dicci, di cosa hai
pensato, Picasso? Raccontaci...”. Era una sfida. Io mi trovavo
con le spalle al muro, perché non era nemmeno vero che avessi
pensato, durante quella giornata. Non avevo fatto un cazzo, come già
detto. E di cose da fare ne avrei avute tantissime, dannazione.
“Ma niente, solite cose. Niente di
importante...”. Basta, volevo passare ad altro. Volevo parlare
di calcio, oppure di telefonini, o di sesso. Qualsiasi cosa ci
dirottasse da quel dialogo a senso unico. Il mio amico Pepo se ne
doveva essere reso conto, perché ha dato una gomitata vistosa
-ancorché timida- al Grigio, buttandosi in un argomento a caso.
Troppo impegnato a considerare la natura di un gesto che mi gettava ancor più dalla parte del torto mi sono perso del tutto la natura della nuova conversazione. Mi sono isolato, senza però acquisire uno stato di pace. Rimuginavo e rimuginavo, e il fastidio che provavo per quell'energumeno tutto forma e zero sostanza cresceva. Come cresceva il senso di inadeguatezza che provavo: ero stato smerdato, messo in ridicolo, avevo fatto la figura di quello con la puzza sotto il naso. Ho ordinato un'altra birra, approfittando del cameriere che ci passava a fianco.
Troppo impegnato a considerare la natura di un gesto che mi gettava ancor più dalla parte del torto mi sono perso del tutto la natura della nuova conversazione. Mi sono isolato, senza però acquisire uno stato di pace. Rimuginavo e rimuginavo, e il fastidio che provavo per quell'energumeno tutto forma e zero sostanza cresceva. Come cresceva il senso di inadeguatezza che provavo: ero stato smerdato, messo in ridicolo, avevo fatto la figura di quello con la puzza sotto il naso. Ho ordinato un'altra birra, approfittando del cameriere che ci passava a fianco.
“Hey, a noi non ci pensi,
sognatore?”, ha fatto il Grigio. “Non è che noi servi
della gleba non abbiamo sete, anzi ne abbiamo di più, sgobbando nei
campi tutto il giorno...”. A quel punto è scoppiato in una
risata, contento della sua battuta. “Servi della gleba, campi”,
ha fatto alla sua ragazza, facendo volutamente lo scemo. Lei ha riso
con lui. Il bello è che stava facendo la figura del vincente, di
quello che si prendeva in giro, di quello superiore, che soprassedeva
alla mia antipatia. Ma non ero io l'antipatico, era lui! Era lui il
montato, era lui quello tutto muscoli, era lui quello con la
fidanzata-oggetto troppo impegnata a leggere gli aggiornamenti di
qualche amica sul cellulare!
La mia birra è durata pochissimo, va
da sé, e mi sono ritrovato mezzo ubriaco. Vai a prendere la doppio
malto, bravo. È partita inevitabilmente la discussione politica:
Pepo ci stava dietro tenendomi d'occhio, dispiaciuto che ora fossi
perfettamente attento a quanto si diceva, seppur con gli occhi che
vagavano languidi nel torpore da alcool.
“Non è che i poveri devono
rimanere poveri, ma i ricchi bisogna solo ringraziarli, che' danno
lavoro. Cioè, un imprenditore alla fine si prende una bella
responsabilità...”. La discussione era di questo tipo,
dominata dal Grigio che dava l'aria di saperla lunga sui rapporti
sociali del paese e sulla redistribuzione della ricchezza. “E
poi diciamoci la verità, in Italia non c'è la meritocrazia. Ci sono
un sacco di persone che vanno all'università, pigliano 18 e via,
fuori con la laurea fresca fresca. Nessuno che voglia sporcarsi le
mani, qui nel belpaese. E poi 'sti baroni, tutti attaccati alle loro
poltrone, bisognerebbe fare una rivoluzione. Vero dotto'?”.
Durante la filippica ero riuscito a
stento a mantenere una mimica facciale normale. Ora mi si chiedeva
un'opinione. A me, che mi mancavano quei due esami bastardi e che
passavo i giorni a cercare di trovare un'idea per sfondare nel mondo
delle gallerie, dei circoli e via dicendo. “Una rivoluzione...”.
Pepo mi ha fulminato con gli occhi. Io però ho continuato. “Una
rivoluzione di che? Una rivoluzione per chi?”, ho chiesto.
“Ma come, per noi altri, che ce la
prendiamo sempre in culo. Contro 'sti politici... La sai no quella
delle auto blu, no? Ecco, il mio idraulico paga il 90% di tasse,
ovvio che poi uno evade!”.
“Il novanta per cento? Caspita...
Comunque no, non credo che una rivoluzione vi piacerebbe, a voi
altri...”. Avevo lanciato il sasso, e il mio dubitare della
“storia vera” del Grigio era stato piuttosto sfacciato. “Noialtri
chi, scusa?” ha improvvisamente detto la tipa.
Proprio mentre una bella botta alcolica
mi saliva in testa ho dato inizio al mio sfogo, biascicando con
enfasi: “Voi gente che pensa solo al proprio diritto di
andarsene ai tropici d'estate, e se vi tolgono i soldini per le
vacanze e per i telefonini e per la palestra vi incazzate. Certo,
dura la vita senza Bahamas, vero? C'è gente che non arriva a fine
mese e voi diventate delle bestie se vi toccano i vostri svaghi di
lusso... L'unico diritto che concepite è quello di farvi i fatti
vostri e di essere lasciati in pace. Bravi, altro che rivoluzione! La
rivoluzione a voi fighetti vi farebbe un gran male ve lo dico io.
Sarebbe contro i vostri interessi! Siete dei viziati, come buona
parte dei piccolo-borghesi di questo paese di merda. Con tutto quello
che spendete di telefono -rivolto alla tipa del Grigio- vi lamentate
anche che non c'è meritocrazia...”.
Sono stato interrotto da un ceffone,
poi il Grigio si è alzato, mi ha preso per la giacchetta e mi ha
trascinato fuori dal déhor. Datomi uno spintone mi ha gettato sul
marciapiede e, facendo il gesto con la mano, senza dire una parola,
mi ha fatto capire che la serata per me era finita. Mi sono rialzato
barcollando, in evidente imbarazzo, e al primo angolo ho vomitato
tutta la birra. Otto euro buttati.
Il fatto è che avevo davvero sbracato.
Il giorno dopo un Pepo indignato mi ha detto che:
1- Il Grigio lavora in cantiere (uno
dei motivi per cui è così abbronzato), in vacanza non ci va da
cinque anni, ha tanti progetti rasi al suolo da tutta una serie di
sfighe personali. Poi sì, va in palestra ed è cattolico, embè? 2-
La sua ragazza è messa un po' meglio, economicamente parlando, ma
quella sera aveva suo padre in ospedale per una brutta faccenda, e
questo era il motivo per cui non mollava il telefono e aveva l'aria
così distratta.
E quindi c'era solo da stare zitti e
fare qualche domanda in più, magari.
La sera in cui sono stato cacciato
malamente dal pub avevo comunque ben chiaro di essere stato uno
stronzo. Per questo quella notte ho approfittato di un'altra
proprietà della città nelle ore serali: quella di nascondere,
quella di celare. Avrei voluto sprofondare. Non potendo farlo, mi
sono lasciato inghiottire dalle vie buie, desolate e consolatorie di
una città in agosto. Un agosto caldo. Caldissimo.
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