Lollo non era in quel posto per caso.
Proprio per niente. Aveva sempre amato quel luogo sommesso, che lui
trovava protettivo, separato dalla città pur trovandocisi
incastonato.
Da piccolo, ci pensava proprio adesso
mentre sedeva al tavolino di quel locale, si divertiva ad infilarsi
in fondo al letto, dove aveva l'impressione che ogni cosa esterna
scomparisse. Il bello erano le luci che filtravano dalle coperte:
colori tenui, caldi, che rafforzavano la sensazione di trovarsi in
una dimensione parallela. Non importava che ad appena pochi
centimetri, al di là di quella coltre morbida e lanosa, ci fosse la
scuola, il freddo, il corso di nuoto, i cani (che gli avevano sempre
fatto una gran paura), eccetera eccetera. Non importava perché quel
suo rifugio avrebbe continuato ad esistere e ad offrirgli riparo e
conforto.
Quel posto non gli dispiaceva affatto,
come dicevamo. Lì lo portava sua madre, che era una mamma molto più
giovane di quelle dei suoi coetanei, fin da quando era un bambino.
Lei ci incontrava gli amici, ci rideva, ci scherzava, ci ballava
anche un po'. Conosceva il gestore, un tipo in gamba, pensava Lollo.
Che poi, secondo lui, sua mamma e 'sto tipo non erano solo amici,
perché più volte li aveva visti un po' troppo intimi. Per evitare
fraintendimenti: il papà Lollo non ce l'aveva. Non che fosse morto,
semplicemente nessuno sapeva dove fosse finito (o chi fosse stato,
dicevano alcuni in malafede). Ma andava bene, non l'aveva nemmeno
conosciuto. Proprio perché era un posto fidato, Lollo era libero di
andarci più o meno quando voleva. Nessuno l'avrebbe minacciato lì.
Nessuno gli avrebbe permesso di bere dell'alcool, soprattutto (diceva
sua madre). Che poi un po' ne beveva, perché il gestore (ma solo
ogni tanto) una birretta gliela serviva, promettendo di non dire
niente a nessuno. E mentre prometteva faceva l'occhiolino. Si, era
proprio forte: se la fosse sposata, sua mamma! Comunque. Lollo
entrava, salutava, poi andava al solito tavolo, quello in fondo,
lontano dalla finestra, per metà lato chiuso da una parete di
vernice rosso scura. Era pieno di foto, in quel posto. Ce n'era una
di Serge Gainsbourg assieme a Jane Birkin che Lollo si vergognava un
po' a guardare, poi c'era Jim Morrison che sembrava volerti
abbracciare. E ancora una di Mastroianni (chi fosse non lo sapeva), e
di David Bowie tutto truccato, come una femmina, e poi una bellissima
di tre tizi su un podio, e due avevano i pugni alzati in aria. Non
sapeva bene che significato avesse quella foto, ma a Lollo sembrava
imponente, mitica. La musica, quella anche era forte. Sua mamma
l'aveva abituato a sentirne di ogni genere. Davvero, da Mozart a
Miles Davis, che però secondo lui era un poco troppo complicato.
Ecco, in quel posto era bellissimo quando attaccavano gli Stones. E
anche Iggy Pop e i Velvet Underground. Non sopportava Prince però.
Quando c'era Prince, poche volte per fortuna, metteva le sue cuffie e
giù di Morrissey, che pure alla sua mamma piaceva tantissimo.
Quel giorno però, nonostante ci fosse
Mick Jagger che cantava che voleva che una tipa stesse sotto il suo
pollicione (boh?), nella testa di Lollo c'era un vortice di roba che
girava e girava all'impazzata. Non era nemmeno riuscito a finire il
suo milkshake, altrimenti detto frullato. Era un bel casino, pensava,
che tra poco dovrò uscirmene da qui e fare a pugni. Pensava al
poster che aveva in casa con quel segno della pace e il soldato
colpito da una pallottola che allarga le braccia mentre sta per
cadere esangue. Poi pensava che alla fine la guerra era una cosa, una
scazzottata un'altra. Al diavolo il poster! Il fatto è che s'aveva
da fare, quella scazzottata. Ne andava del suo orgoglio, lo dicevano
anche certi film. E a proposito del discorso di prima, quello dei
grandi, ecco: doveva dimostrare di essere diventato adulto e
coraggioso al tizio che aveva osato dubitarne. “Take it easy babe”,
cantava nel frattempo Jagger, e Lollo non riusciva proprio a
prenderla easy. Era agitato e spaventato. E se andava male?, pensava.
E se questo mi massacra io che figura ci faccio? La questione era
questa: Bonzo, un ragazzino grande e grosso che la faceva da padrone
nel microcosmo scolastico nel quale Lollo si era trovato invischiato,
aveva esagerato. Davvero. Appena entrato in classe assieme al suo
piccolo manipolo di scagnozzi si era avvicinato a Lollo e gli aveva
detto: che gnocca da paura tua madre. Che gnocca? Mia mamma? Hey,
ritira quello che hai detto! Mia mamma non è gnocca! Cioè,
aspetta... Non importa. Ma non provare a parlare di mia madre in quel
modo... pezzo di merda! Che hai detto? Ripeti, dai! No, dicevo, non
parlare così di mia madre. Scuuuusa! Ti sei offeso? Piccolino della
mamma, non volevo offenderti. Volevo solo dirti che tua madre è un
gran pezzo di figa, vero ragazzi? E i ragazzi ridevano, qualcuno
ululava eccetera eccetera. E Lollo era rosso di rabbia. E allora
Lollo prende coraggio e da' uno spintone a Bonzo, che di rimando tira
un ceffone a Lollo. Fino a che il professore sopraggiunge a dividere
i due, bloccando sul nascere una rissa con i fiocchi. L'adrenalina
nel corpo di Lollo lo spinge a lanciare la sfida: facciamo i conti
dopo io e te, stronzo! E così il danno è fatto. Nel bigliettino che
a fine lezione era arrivato sul suo banco c'era scritto dove e quando
la suddetta sfida avrebbe dovuto avere luogo. Ci stai? Crocettare si
o no. Si. Guarda caso il giorno era lo stesso in cui Lollo si trovava
al tavolo del suo locale preferito intento a pensare al diventar
grande e impegnato a non fissare troppo Jane Birkin.
Trangugiato a forza il frullato Lollo
si alzò e uscì di fretta, salutando appena il gestore che lo guardò
strano. Ma non aveva tempo per toppe formalità, aveva un
appuntamento importante. Poco lontano da lì, tra l'altro, in un
campetto alla buona dove i ragazzi si trovavano, più che per giocare
a calcio, per fare casino, fumar canne e bere birra di pessima
qualità. C'era un vento che tirava dalla parte opposta della
direzione presa da Lollo, come a volergli dire “torna a casa,
stupido che non sei altro!”. Ma Lollo proseguiva a testa alta,
nonostante un fremito lungo il corpo che però era sicuramente dovuto
al freddo. La scena se la immaginava così: lui arrivava e c'era un
po' di polvere che si alzava in aria turbinando, come nei film di
Morricone (o era Leone? Si confondeva sempre). Ad aspettarlo c'erano
tre o quattro gringos con le facce tirate e gli occhietti piccoli, a
fessura. Uno sputava per terra, segno (lo aveva imparato da
Hemingway) che non aveva paura. Provò anche lui a sputare, ma la
saliva era poca. Ma era sicuramente dovuto al fatto che il frullato
gli aveva messo sete. Comunque, i tre o quattro tipacci erano lì, e
nel mezzo c'era Bonzo, con un sorrisetto arrogante. Vedo che hai
avuto il fegato di venire, pensavamo fossi scappato dalla mamma,
diceva. Lollo gli arrivava ad un palmo di naso e lo guardava fisso,
senza abbassare gli occhi. Si girava, faceva qualche passo, si
rigirava. Sputava pure lui, un bello sputone impavido. Poi con la
mano faceva segno a Bonzo di farsi avanti (molto alla Jackie Chan,
questa). Bonzo perdeva la pazienza di fronte a tanto ostentato
coraggio e si gettava su Lollo, che con un rapido spostamento
laterale gli faceva lo sgambetto portandolo a cadere rovinosamente al
suolo. Bonzo si rialzava e partiva con un pugno che colpiva Lollo in
piena faccia. A questo punto Lollo si passava la mano sulla bocca
sanguinante con aria indifferente. Poi colpiva a sua volta: uno, due,
tre pugni ben assestati sul grugno di quel ragazzone che non gli
faceva niente paura. Inutile dirlo, l'energumeno si ritrovava al
tappeto e non riusciva più ad alzarsi. Salvo che, proprio mentre
Lollo stava voltando le spalle allo sconfitto, Bonzo si era rimesso
in piedi e stava avventandosi su di lui. Ma una voce femminile (che
ci faceva una ragazza lì? Boh...) avvertiva Lollo il quale si girava
e con un calcio metteva definitivamente k.o. Bonzo. Vittoria! Lollo
si trovava davanti ai quattro gringos che però lo facevano passare
scostandosi, deferenti, e la misteriosa ragazza lo stringeva e lo
baciava.
Ora però era arrivato al campetto,
quello vero. Gli occhi grandi di fantasia. Solamente, tremava un
pochino più di prima e sentiva la bocca secca secca.
L'erba sul campo era sporadica,
deturpata da numerosi solchi di terra e piccole pozzanghere
grigiastre. C'era un gruppetto di ragazze sui gradoni malandati su un
lato del campetto, intente ad armeggiare con cellulari e ad emettere
fragorose risate squillanti di tanto in tanto. Ai piedi dei gradoni
c'era il gruppetto di Bonzo, tre ragazzini con la faccia cattiva,
senza contare il capo. Stavano fumando e si guardavano attorno,
cosicché videro subito Lollo che si stava avvicinando. Un cenno ed
erano tutti spediti verso l'avversario. Nella realtà le cose
andarono così. Volevi farmela pagare eh stronzetto? Si, cioè in
realtà basta che ritiri quello che hai detto... Cosa? Che mi farei
tua madre? Be' ma lo penso ancora! È una gnocca vero ragazzi?
(Risate, un rutto). Lollo non sapeva bene cosa fare a quel punto.
Forse avrebbe dovuto tirare un pugno per primo, ma aspettò. Non
molto, a dir la verità. Perché Bonzo ricambiò lo spintone di
qualche giorno prima. Solo che lo diede ben più forte, facendo
cadere a terra il tappetto che aveva davanti. Che però si rialzò
subitissimo. Invaso dalla rabbia e dall'imbarazzo (le ragazze ora
seguivano squittendo la scena), Lollo improvvisò un pugno, che
risultò fin troppo debole, perché al suo segui quello mortale di
Bonzo. Per un attimo Lollo non capì niente, sentì un gran dolore al
naso, poi la vista si oscurò un poco e cadde per terra. Scosse la
testa per riprendere lucidità ma i quattro si avventarono su di lui
con calci e pugni: impossibile districarsi da una situazione del
genere. Lollo si strinse le braccia al corpo e non riuscì a
trattenere qualche lacrima e qualche “basta, basta!”. Ad un
certo punto però i colpi cessarono. Il gruppo di scimmioni si bloccò
di colpo e cominciò ad indietreggiare. Lollo non sapeva perché, era
troppo frastornato per capirci qualcosa. Sta di fatto che presto il
gruppetto si dileguò di corsa. Solo le ragazze rimasero lì,
appollaiate sui gradoni di pietra, non troppo lontano. Indifferenti,
tranne una che si alzò e andò incontro a Lollo. Nel frattempo la
causa della fuga dei quattro si chinò su quell'ammasso di lividi e
umiliazione e lo tirò su, prendendolo per le braccia. Con forza.
Che diavolo ti sei messo in testa? La
voce era familiare. Perdio da solo contro quattro, ma che sei Rambo?!
La voce era quella del gestore del locale, che -è giusto dirlo,
visto come si sono evolute le cose- si chiamava Max. Lollo non
riusciva tanto a parlare, si sentiva debole, distrutto, dolorante.
Un'altra voce si aggiunse a quella virile di Max: wow, che
coraggioso, io sarei morta di paura! Hai pure provate a colpire
Bonzo, e... Oddio ma sanguini, cazzo, se sanguini... Fa male? L'altra
voce era della tipa che si era separata dal gruppetto appollaiato,
una ragazzina carina, un po' troppo verbosa, ma, come già detto
carina. E stava facendo di tutto per dimostrare la sua ammirazione a
Lollo, messo male come non mai. Intanto Max cercava di capire quanto
fossero serie le ferite del ragazzino che, dal canto suo, non
riusciva a capire se doveva mettersi a piangere (nel dubbio tirava su
forte con il naso e cercava di ricacciare indietro qualche lacrima
disobbediente) oppure se fare finta di niente e lanciarsi in un
commento sprezzante (però non gliene veniva in mente nessuno).
Insomma, la situazione lo costringeva a stare sospeso su un filo
sottile e affilato, teso a metà tra la voglia infantile di
abbandonarsi nelle braccia paterne di Max e il desiderio di mostrarsi
sprezzante e rodato. Cosa che forse era propria della sua adolescenza
in erba. Forse diventare grande significava rendere più stabile quel
“filo”. Ma non c'era tempo di fare della filosofia. Disse solo
che stava bene, che riusciva a stare in piedi da solo e che voleva
sapere il nome della ragazza. Nel senso che chiese alla ragazza “come
ti chiami?”. E lei si chiamava Laura. E oltre ai lividi, al sangue,
alla paura, ora aveva anche un bel nome da portarsi a casa. Salutò
Laura mentre il gestore lo prendeva per una spalla e lo portava, con
tutta probabilità, nel locale che aveva lasciato incustodito. È un
osso duro 'sto ragazzetto, disse a Laura ammiccando. Lollo gli doveva
un favore.
Sai ho dovuto abbandonare il locale nel
bel mezzo del pomeriggio per te.
E come hai capito che stavo andando a
fare a pugni?
Non l'ho capito. È che non avevi
pagato. E poi eri strano e rabbuiato. Non ti ho mai visto così,
quindi ad un certo punto ho deciso di vedere se stavi andando a fare
qualche stronzata.
…
Dai niente di grave comunque. Qualche
livido.
Chissà che dirà mia madre...
Se vuoi le parlo io.
No no grazie. Le spiego tutto.
Già ora sei grande, vero?
…
…
Ma come diavolo ti è venuto in mente?
Erano in quattro ed erano anche piuttosto grossi...
Uno di loro ha insultato mia madre
l'altro giorno a scuola. Mi sono arrabbiato.
Capisco...
E non sapevo che sarebbero stati in
quattro.
Be' che ti aspettavi, un duello
cavalleresco?
Max sorrideva e trattava Lollo come
faceva con gli avventori adulti. E Lollo si sentiva piuttosto onorato
da questo fatto. Come se non bastasse Max spillò una birra e la
offrì a Lollo, che la bevve lentamente, a causa di un doloroso
taglio sul labbro. E poi anche perché la birra non la reggeva
tantissimo. La prossima volta gliela faccio vedere! Disse impettito
Lollo. Ma finiscila, non fare più una cosa così stupida, mi hai
capito o no? Non si diventa grandi facendo stronzate o usando le
mani. Così si diventa stronzi, non grandi. Chiaro?
Si, sembrava piuttosto chiaro, anche se
Lollo non ne era troppo convinto. Grazie, disse d'un tratto. Max
reagì dandogli un buffetto, che però gli fece male perché lo prese
in un punto dove era stato colpito più volte. Ahah scusa piccolo.
Max scherzava, e alla radio passava un pezzo che si chiamava Shake
Some Action. Uno dei preferiti di Lollo, che si sentiva non dico
grande, ma diverso. Non era esattamente in forma, l'umiliazione era
ancora presente. Ma stava affrontando la cosa, si sentiva un po' più
forte. E in fondo aveva quel nome -Laura- che, come trofeo, gli
bastava. Si sentiva anche un po' coglione, un po' incosciente. Ma gli
piaceva. Aveva anche voglia di tornare a casa, però.
Che stai guardando così fissamente?,
chiese d'un tratto Max. Aaah ho capito, stai guardando la Birkin eh?
Sei sempre lì che ci butti l'occhio, ho notato sai?
Lollo arrossì un poco. Si, è
proprio... è...
È una gnocca da paura eh?, disse Max
facendo l'occhiolino.
Lollo non rispose, ma d'improvviso
scomparve il rossore, e al suo posto prese spazio un ghigno un poco
cafone e anche un po' buffo per come appariva su quella povera faccia
ammaccata.
Ricambiò l'occhiolino e vuotò la
birra d'un sorso. Poi scoppiò a ridere, e non poté fermare una
piccola lacrimuccia. Piangeva sempre quando rideva, Lollo.
Matteo Castello
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