Il sole tramontò lentamente dietro le colline mentre
Evie finiva di sgranocchiare il suo sandwich. Ormai duro, quasi avariato. I
campi si tingevano di ambra e amaranto e gli ultimi raggi sfocavano
languidi all’orizzonte. La luce le colpiva il viso frontalmente, lasciandole le
spalle ancora illuminate e il viso quasi in fiamme. Una brezza leggera soffiava
tra le spighe di mais che ondulavano pigre. Sembrava che il mondo si fosse
fermato per un istante per osservarla mangiare senza che lei se ne accorgesse.
Per guardarla lottare con quelle fette di pane povero, lattuga e forse
prosciutto. Chiuse gli occhi mentre addentava lo spuntino e cercò di assaporare
gli ultimi raggi che le attraversavano le palpebre.
Il sole scese ancora e il fascio di luce raggiunse la
fronte di Evie e le baciò i capelli. Ancora pochi istanti e la campagna sarebbe
stata invasa dall’oscurità, una tenebra assoluta, accecante. La ragazza lo
sapeva e l’espressione soddisfatta e goduta si trasformò presto in una smorfia
di ansia e apprensione. Doveva ripartire, non poteva più rimandare. Con rapidi
morsi finì il panino che aveva sperato, almeno per una volta, di godersi fino
in fondo. Raccolse gli stivali e se li infilò mentre i suoi pensieri saettavano
già nel tramonto, verso casa.
Quella notte la luna si svegliò pallida e assorta.
Salì pigra in cielo tingendo i campi di grano di un grigiore spettrale. Nuvole
affusolate filtravano la poca luce in un disordinato gioco di ombre. Sottili
sbuffi di vapore si levavano dal terreno ancora caldo e s’innalzavano nell’aria
gelida e immobile. Quella non era una notte come le altre e la figura
acquattata tra le spighe lo sapeva e aspettava e si leccava le zanne con la lingua ispida e affamata…
Evie guidava il furgone assorta nei suoi pensieri. Era
il furgone di suo padre e di suo nonno prima di lui. Doveva esser stato verde
acqua o azzurrino prima che il tempo e le ammaccature si portassero via la
vernice. Ad ogni buca sobbalzava scuotendo Evie dal sedile ma non dai suoi
pensieri. Era fatta così: quando aveva qualcosa per la testa, rimaneva per ore
a pensarci e non riusciva a concentrarsi su nient’altro. Le uniche parole che
le uscivano di bocca in quei momenti erano piatti monosillabi che
s’infrangevano vuoti contro le domande altrui.
Evie conosceva la strada a memoria, il suo corpo
reagiva quasi automaticamente alle asperità del terreno schivando buche ed
evitando fosse che i suoi occhi nemmeno vedevano. Percorreva quella manciata di
chilometri di sterrato ogni giorno da un anno ormai e il percorso era diventato
una semplice occasione per rivivere e riorganizzare le esperienze della
giornata. Una mano sul volante e l’altra tra i capelli, continuava a lisciarli
incessantemente, senza sosta. Quasi ossessiva, nervosa. Quella sera Evie aveva
un pessimo presagio, una sensazione di ansia e incombenza e non riusciva a
levarsela dalla testa.
I campi di grano scorrevano rapidi attorno al furgone
e assieme ad essi anche la nuvola di polvere che questo sollevava lungo la sua
corsa verso casa. Una nube argentea sotto i raggi della luna. La notte guardava
silenziosa Evie scorrere isolata e saettante nella pianura e, come la notte, la
vide anche la creatura. Le si rizzarono le orecchie, un brivido le percorse la
schiena e le pupille si chiusero su quello sbuffo di polvere che si levava dai
campi. Un gelido brivido di fame. Gli occhi le brillarono di sangue e i muscoli
scattarono di gioia.
La caccia era cominciata.
Evie percorse con la mente tutta la strada che la
separava da casa e assaporò il tepore del letto che la aspettava poco lontano. Avrebbe
preferito che ci fosse stata anche una cena calda ed un marito preoccupato ad
accoglierla, ma non si lamentò. Stava ancora pensando alla porta di casa quando
la bestia la raggiunse. Guidava tranquilla e non percepì gli occhi insanguinati
che brillavano nello specchietto retrovisore. Evie non alzò lo sguardo e così
non vide la sagoma nera che la inseguiva a balzi, mordendo l’aria con furia. I
latrati sordi non le giunsero alle orecchie, coperti dai cigolii del furgone. Il
fiato putrido della creatura si mischiava con la polvere e si perdeva lungo la
strada. I muscoli allenati dalle dure prove delle montagne, dalle caccie
estenuanti, permettevano a quel diavolo di stare al passo del veicolo e, ad ogni
curva, guadagnare qualche metro. Il lungo viaggio stava per dare i suoi frutti,
il digiuno era terminato. Con la lingua al vento, le fauci spalancate e il pelo
ritto, quell’enorme ammasso di odio e desiderio inseguiva Evie come un cane
dietro ad un frisbee. Un enorme cane assetato di frisbee.
Quando il furgone sussultò, Evie non ci fece caso. Era
distratta, si era dimenticata una buca. Al secondo scossone si paralizzò.
Quando la creatura cominciò a ululare, un brivido gelido le saettò lungo la
schiena. Uno straziante urlo di vittoria s’innalzò dal cassone del furgone. Le
spighe di grano fremettero di terrore e anche la luna, sorpresa, illuminò d’un
lampo, a giorno, la pianura. Un demone d’ombra si stagliava imponente nella
notte.
Evie puntò entrambi i piedi sul freno, d’istinto, e
dopo qualche istante si scagliò fuori dall’abitacolo con un urlo strozzato in
gola e la paura dipinta in volto. Rotolò nel grano e appena riuscì a rialzarsi
cercò con gli occhi il furgone, appena in tempo per vedere una macchia scura
staccarsi da questo che si infossava oltre il bordo della strada. Era una
macchia enorme e avanzava a grossi balzi scomposti verso di lei. Quando Evie
cominciò a correre, la macchia era ormai diventata nitida e si scorgeva il
candore delle zanne.
La creatura era accecata dalla fame. Correva con le
fauci spalancate seminando una scia sanguinolenta di bava e saliva con i
muscoli tesi nello sforzo. Non sentiva altro che lo stomaco ruggire così non si
accorse che la sua preda le stava correndo incontro. Puntava dritto di fronte a sé nella sua furia cieca e, quando vide la ragazza avvicinarsi con la stessa
furia, rallentò sorpresa. Quell’esitazione le fu fatale.
Evie lesse l’indecisione negli occhi della creatura e
non perse tempo. Con una mano le bloccò la mascella mentre il medio e l’indice
dell’altra le penetravano negli occhi. Ora la bestia era cieca e, con due morsi,
Evie la privò anche delle orecchie mentre le mani afferravano le narici e tiravano in direzioni opposte. Lacerando e squarciando.
La creatura reagì con un ruggito ma ormai Evie si era scansata. Priva di udito, vista e olfatto, la creatura ululò di rabbia e dolore, ormai incapace di individuare la sua preda. Evie la guardò mordere l’aria, ringhiare frustrata, girare su se stessa e azzannare ancora mentre schizzi di sangue macchiavano le spighe di grano. Evie immobile continuò a godersi quel macabro spettacolo con un diabolico sorriso stampato sul tenero viso. Il sorriso sfociò in una muta risata quando la bestia cominciò a mugolare e piangere al vento. Chiedeva perdono mentre Evie si sfilava il coltello da uno stivale, leccava via il sangue incrostato dalla lama e si avvicinava silenziosa. La creatura stava ancora piangendo quando la ragazza le tagliò la gola e il suo sangue sgorgò nella notte tingendola di rosso.
La creatura reagì con un ruggito ma ormai Evie si era scansata. Priva di udito, vista e olfatto, la creatura ululò di rabbia e dolore, ormai incapace di individuare la sua preda. Evie la guardò mordere l’aria, ringhiare frustrata, girare su se stessa e azzannare ancora mentre schizzi di sangue macchiavano le spighe di grano. Evie immobile continuò a godersi quel macabro spettacolo con un diabolico sorriso stampato sul tenero viso. Il sorriso sfociò in una muta risata quando la bestia cominciò a mugolare e piangere al vento. Chiedeva perdono mentre Evie si sfilava il coltello da uno stivale, leccava via il sangue incrostato dalla lama e si avvicinava silenziosa. La creatura stava ancora piangendo quando la ragazza le tagliò la gola e il suo sangue sgorgò nella notte tingendola di rosso.
Mentre Evie caricava la cena sul furgone, si chiese
quanto potesse essere romantica la notte, a volte.
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