Cri si ferma un attimo, la fissa e per mezzo secondo si chiede come ha fatto a
montarla in questo stato d’incoscienza. Ripercorre due passaggi all’indietro e
si ritrova impantanato in quella vischiosa malinconia mattutina. Perché,
perché? Spalanca le tende ma la nebbiolina autunnale non lo aiuta. I lampioni
arancio delle sei di mattina si vedono a stento in mezzo a tutta quella
foschia. Evvai! Un’altra giornata che comincia col piede giusto.
“Caffèèè”
Il
richiamo della giungla e la casa si sveglia di colpo. Un’invasione di zombie,
la cucina si riempie di bambini pantofolanti. Sciaff sciaff, ippopotami, cani,
panda e gatti di pelouche irrompono nella stanza. Gridano, si battono le enormi
braccia pelose sul petto, ululano alla luna. La più piccola, Anna, si arrampica
sul tavolo e con un balzo felino arriva in cima all’armadio.
“Noo,
Anna, scendi!”
Il
piccolo Francesco striscia sul pavimento, la pinna nera, minacciosa, sfreccia
tra le mattonelle a pelo d’acqua. I bagnanti scappano, un bambino ciccione non
riesce ad allontanarsi abbastanza in fretta. Aveva un gigantesco salvagente a
forma di papera in vita. Un errore di punteggiatura e il salvagente gli costò
la vita. Adesso la testa della papera spunta, sgonfia e inerme, dalle fauci
insanguinate di Francesco. Piccola peste, è il più piccolo ma questa non deve
essere una scusa. Cri lo sa ma, nonostante questo, non riesce a trattenere un
sorriso mentre lo guarda strisciare tra i tavoli.
Il
sorriso gli sparisce di bocca appena Ale entra dalla porta.
“Federico
rialzati subito!”
E
poi, a Cri: “Amore, guarda cosa stanno combinando i bambini! Ogni mattina la
stessa storia, non posso intervenire sempre io. Diglielo anche te ogni tanto!”
“Lo
stavo per fare, Ale” mente Cri e abbassa lo sguardo colpevole.
Sono
una bella coppia, sono fatti per stare insieme e Cri lo sa. Senza Ale non ce la
farebbe mai a tenere a bada quel branco di belve scatenate. Rimarrebbe tutto il
giorno ad ammirare lo spettacolo, a guardarli mentre mettono a soqquadro la
casa e a piazzare scommesse tra se e se. Cri scommette sempre su Giada, è la
sua preferita. La vuole veder crescere su spavalda e smorfiosa, vuole un
maschiaccio. Cri non l’ha mai rivelato a Giada che tifa per lei, la piccolina potrebbe
montarsi la testa, perdere la concentrazione, perdere la leadership.
“Giada”
“Sì?”
“Ah
scusa, non sapevo dov’eri” – “niente”
Giada
ha le ciabatte più belle di tutti, sono tre camaleonti bianchi. Belli e letali.
Fissano Cri dritto negli occhi finché uno dei tre non distoglie lo sguardo. Di
solito è Cri. Questa volta è Ale: ha sentito la caffettiera che scoppola ancora
prima di raggiungerla con gli occhi. Ale ha sempre pensato che il valore di una
coppia è proporzionale alla superficialità con cui essa convive. Ora non lo
pensa più. Corre verso i fornelli ma non fa abbastanza in tempo: il caffè
schizza ovunque e finalmente Cri riesce a vedere Giada. I camaleonti sono
diventati marron. Scottati e macchiati squittiscono di dolore. Anna rizza i
peli sulla schiena e soffia contro la sorella. Cri e Ale sono immobili. Solo il
piccolo Francesco continua a sguazzare tranquillo in quel mare di caffè fumante.
La pinna ritta come un pennone e tra le fauci un macabro scalpo.
“Bastaa!
Non ce la faccio più, non è possibile” sbotta Alessandra.
Silenzio.
Cristina
incrocia il suo sguardo, la cucina tutta imbrattata, la caffettiera esplosa, il
piccolo Francesco a gattoni sul pavimento, Anna che piange e il cadavere di
Giada deformato dalle scottature del caffè.
Le sue candide ciabatte macchiate, il suo sorriso spento, la sua smorfia
di lacrime e dolore.
“Hai
ragione amore, forse è meglio se smettiamo di farci.”
Sciaff,
sciaff, ippopotami, cani, panda e gatti di pelouche tornano in camera in cerca
di una siringa pulita.
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