Ogni volta che mi ritrovo in fase di atterraggio mi
chiedo quanto poco ci voglia perché qualcosa vada storto. Vedo già il pilota
colpito da un colpo di sonno, un altro aereo che ci ingombra la pista o, più
spesso, il nostro aereo che manca di misura l’atterraggio. Fino all’ultimo
acqua, poi qualche albero sparso e, quando meno ci credi, ecco che spunta un
lingua di cemento ad accogliere questo grasso uccello di lamiera. Se solo
fossimo atterrati dieci metri prima. Venti. Mi cullo nella certezza dell’errore
per scacciare finte paure che non riesco a radunare dentro di me. Ho più paura
che l’aereo si possa schiantare o del fatto che ciò non mi mette alcun timore?
Che razza di persona sono diventato? Un aereo che
precipita non è più nei miei piani, non mi preoccupa più. Non fa parte delle
mie priorità. Che precipiti pure, abbraccerò la novità.
Aria di estero, vacanza, comincia a filtrare nel
velivolo che si appresta a fermarsi. Welcome to Amsterdam. Welcome to
Copenaghen. Welcome to Prague.
Sento elettricità nell’aria, mi scuoto, raddrizzo la
schiena, butto il naso al vento e gli occhi al cielo. I primi passi su questo
duro cemento hanno proprio il sapore di Olanda. Di Danimarca. Di Repubblica
Ceca.
In coda per i bagagli, per la prima volta nella mia
vita, non fremo dal terrore che il mio bagaglio mi scorra invisibile davanti
agli occhi. Quando ero giovane, mi pervadeva un’ansia quasi ossessiva finché
non riconoscevo quella valigia nera. O blu. O verde. Ora semplicemente faccio
finta che non m’interessi. Contengo l’ansia dento il mio piccolo angolo dell’
“I don’t care anymore”.
Ma non oggi.
Sarà che la valigia è mezza vuota, sarà che sto
maturando, sarà che è da quando ho messo piede in questo dannato paese che
mento a me stesso e non riesco ad abbassare questa guardia di normalità.
Va tutto bene, è tutto normale.
Sono un turista come un altro.
No, sono un....
Avrò tutto il tempo per accusarmi più tardi, prendiamo
sta valigia.
La cartina sotto gli occhi. Sospiro. Mi fermo un
attimo. Voglio godermi questi ultimi momenti di assoluta identità. Raccolgo
qualche particolare qua e là per immortalare il momento…
…sono l’unico fermo a guardare la cartina all’uscita
dell’aeroporto
…l’aeroporto è nuovo, un sacco di vetri
…poca gente, quattro persone ferme davanti a me. Una
famiglia direi
… odio le magliette “I love Malta”, saranno italiani
anche loro
…chissà chi mai verrebbe in qua dal Bangladesh, eppure
un aereo sta atterrando
…volo delle 13:45
… anche il mio orologio segna le 13:45, wow
Mi dovrei mettere in marcia ma ogni secondo passato
senza riabbassare gli occhi sulla cartina m’infonde una strana sensazione di
onnipotenza. La falsa illusione che qualcuno dall’altra parte del filo stia vivendo
questi minuti in ansia. In attesa. Sofferenza.
Sono un sadico e un sognatore.
Abbasso gli occhi sulla cartina. Lo sapevo, un hotel
in centro, ti sei trattata bene eh? Aspiro ancora un sorso di quell’aria
d’indifferenza che faccio finta di vestire. Mi accorgo di avere il cellulare in
mano e lo ritiro subito in tasca. Voglio ritardare il più possibile questo
momento e che non sia assolutamente per messaggio. Sarà una sorpresa.
Taxi!
Una vista sul mare e poi a capofitto in una marea di
edifici colorati. Palazzi imponenti e casette sorridenti. Una città pulita,
devo ammetterlo. Mi piacerà. No, mi piace, lo so già e, se anche non mi fosse
piaciuta, me la sarei fatta piacere comunque. Per te. Lo so.
Le strade continuano a susseguirsi con calma e
dolcezza. Ad ogni semaforo il tassista mi spara una battuta in un inglese incredibilmente
fluido. Butta indietro la testa e mi lancia un sorriso sotto i suoi baffi
biondi. Deve credersi molto simpatico.
Ad ogni semaforo mi scivola un “yeah, nice” di bocca.
Gli basta poco.
Non riesco a levarmi l’amaro di bocca. È la nostra
vacanza ora. Finalmente ho dato una svolta a quest’estate sciatta e ti ho
raggiunta, non sarai più sola, ci sono anch’io. Saremo solo noi due, sarà
stupendo, tornerà tutto come una volta. Senza distanze, senza odio, senza
amore.
Niente, non riesco a convincermi.
Ringrazio e pago.
Mi serve un’altra pausa così mi svacco su una panchina
a fumarmi un trinciato. Ne ho un paio già girati, di riserva, ma decido di
rollarne un altro. Altro tempo guadagnato.
Mentre aspiro e butto fuori il fumo, mi si svuota la
mente. Nessun pensiero, solo io e la mia sigaretta. La gente passa, molti
turisti si fermano qua e là. Qualcuno mi rivolte uno sguardo di sfuggita e poi
un altro. Saranno i miei capelli. Sarà che sistemato così sembro proprio un
barbone. Questo posto ha un’incredibile aria di pulito, ordine, democrazia. Una
vecchietta e due ragazzi aspettano il tram. Sorridono tutti. Anche la vecchia
non sembra così vecchia. Un piccione cammina svelto a pochi passi davanti a me.
Il cielo è così. Blu.
E che sole.
Relax.
Arrivo al tuo hotel che sono già passate le mie prime
quattro ore sul suolo olandese. O danese. O ceco. Come scorre lento il tempo
quando smetti di contare il tuo e tieni gli occhi fissi su quello di un altro.
Mi avrai pensato, queste quattro ore?
Chiedo se alloggi qui. Me lo confermano. Chiedo se
posso salire. No.
Aspetterò. Ti aspetterò.
Mi siedo ancora ma questa volta non riesco più a
resistere. Devo buttare un po’ di pepe su questa sorpresa. Voglio pregustarla.
Ti scrivo qualcosa come “Carino il tuo albergo! Un po’
scorbutico l’usciere…. Quand’è che mi chiami a vedere la camera?! =)”.
Butto il cell sul silenzioso nella tasca davanti della
valigia. Se anche mi rispondi subito, voglio comunque godermi i miei cinque
minuti di suspense.
Chissà cosa mi risponderai. E se magari, invece, ti
vedo passare qua davanti? Ti salto addosso? Ti chiamo da lontano, facendo finta
di nulla?
E tu? Sarai contenta, ti farà piacere? Beh, certo, me
lo hai detto te che potevo venire quando volevo. Che non era stata una grande
idea partire da sola. Che avresti voluto chiedermi di venire ma non sapevi
quanto potevi sbilanciarti con me. Sì, avevi usato proprio quella parola:
sbilanciarti. E io sono venuto. Che pazzo.
E se non…
No, voglio sapere. Mi butto sulla valigia e rovisto
freneticamente finché non trovo il cell. Un messaggio. Tuo.
…
Eddai, che potrai mai avermi scritto?
“Ciao! :) Come stai? Perché il mio albergo? Dove l’hai
visto? Io domani riparto per la Spagnaa!! Mi serve proprio un po’ di mare, qua
non è stato il massimo.”
…
…
“No, niente, l’ho visto su Google. Buona vacanza”
…
Faccio un bel respiro. È meglio muoversi…
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