Pedalare (prima parte)

L'importante è continuare a pedalare. Ignorare quell'attimo in cui sembra che i muscoli debbano cedere da un momento all'altro, quando la salita s'impenna e il fiato si fa corto e affannato. Tenere duro, serrare i denti, stringere il manubrio su cui le mani iniziano a scivolare per il sudore. Non abbassare troppo il rapporto per non aumentare a sproposito il numero di pedalate al minuto, per non fondere il motore sempre più surriscaldato che manda avanti i muscoli delle gambe. Abituarsi alla fatica, conservare un ritmo, sbuffare e guardare ora avanti, ora in basso, seguendo una qualche scia invisibile sull'asfalto a grana grossa. E intanto il sole batte forte, sollevando dal sottobosco che fiancheggia la salita di montagna un odore pungente e balsamico, di terra arsa e arbusti secchi. Pensare che basterebbe una pioggerellina per rivoltare come un guanto la fitta vegetazione, rendendola rigogliosa e iridescente, sollevandone odori molli e discinti.

Nella testa non ho nulla se non la fatica. Il mio cervello conserva come unico compito quello di trasmettere impulsi elettrici consacrati all'energia cinetica, di trasformare un moto circolare in una trazione progressiva. Tutta la mia forza si scarica sui pedali e fluisce nella ruota motrice della bicicletta, in una cooperazione tra corona grande e piccola, in un abbraccio di catena unta di grasso, in un vorticare sempre uguale di raggi. Sono una elementare struttura energetica in azione e compio un movimento ripetitivo, ipnotico. Pensare che pedalo per stimolare la riflessione. Ora però faccio tutto tranne che riflettere. Per tornare a farlo mi occorre solamente il ritorno all'equilibrio. Lo strappo è stato duro, la pendenza ha fatto un balzo capace di scombussolare il precedente ritmo, quello sì pacifico e scorrevole. Il fiatone è il primo segno che qualcosa non va, poi aumenta la sudorazione e cominciano a pulsare le tempie. Si inizia a sentire il calore e allora ecco che si può dire di star facendo fatica. E scompaiono i pensieri. Rettifico: vado in bici per pensare ma soprattutto per non farlo. Cerco questi attimi sudoriferi in cui la mia natura è un fatto puramente fisico, non astratto. Un concentrato di azione con l'unico scopo del movimento, della contrazione muscolare, della messa alla prova dei tendini.

Matteo Castello
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