Nella testa non ho nulla se non la
fatica. Il mio cervello conserva come unico compito quello di
trasmettere impulsi elettrici consacrati all'energia cinetica, di
trasformare un moto circolare in una trazione progressiva. Tutta la
mia forza si scarica sui pedali e fluisce nella ruota motrice della
bicicletta, in una cooperazione tra corona grande e piccola, in un
abbraccio di catena unta di grasso, in un vorticare sempre uguale di
raggi. Sono una elementare struttura energetica in azione e compio un
movimento ripetitivo, ipnotico. Pensare che pedalo per stimolare la
riflessione. Ora però faccio tutto tranne che riflettere. Per
tornare a farlo mi occorre solamente il ritorno all'equilibrio. Lo
strappo è stato duro, la pendenza ha fatto un balzo capace di
scombussolare il precedente ritmo, quello sì pacifico e scorrevole.
Il fiatone è il primo segno che qualcosa non va, poi aumenta la
sudorazione e cominciano a pulsare le tempie. Si inizia a sentire il
calore e allora ecco che si può dire di star facendo fatica. E
scompaiono i pensieri. Rettifico: vado in bici per pensare ma
soprattutto per non farlo. Cerco questi attimi sudoriferi in cui la
mia natura è un fatto puramente fisico, non astratto. Un concentrato
di azione con l'unico scopo del movimento, della contrazione
muscolare, della messa alla prova dei tendini.
Matteo Castello
Matteo Castello
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